L’EBREO (IN)SOSTENIBILE
by Alberto Caviglia
Languages: Italian/English
L’ebreo (in)sostenibile di Alberto Caviglia è pubblicato in lingua inglese nella raccolta “Living Under Water. Jewish Views on the Environmental Crisis” (Damocle, 2022) a cura di Beit Venezia - Casa della Cultura Ebraica. This short satirical story has been published in “Living Under Water. Jewish Views on the Environmental Crisis” (Damocle, 2022), curated by Beit Venezia - Casa della Cultura Ebraica.
Egregio rabbino Vogelmann, mi permetto di scriverle per sottoporle una questione di grande urgenza. Ricordo sempre con nostalgia i suoi insegnamenti ai tempi della scuola ebraica, così come la devozione con cui si occupò della mia preparazione al Bar Mitzvà. Dopo tanti anni torno a bussare alla sua porta perché un dubbio mi opprime, e credo che lei sia l’unica persona in grado di liberarmi da questa morsa. Ecco, io ho sempre avuto un grande rispetto per Ashem. Anzi, grandissimo! Non c’è niente che io non faccia senza sentirmi osservato da Lui. Come ci ha insegnato, l’Altissimo è sempre e ovunque, in ogni stanza in cui entriamo, nel cielo sulle nostre teste, Egli veglia incessantemente sulle nostre anime quando dormiamo.
Lo sguardo dell’Onnipotente mi ha sempre accompagnato in questi anni, facendosi sentire specialmente quando mi trovavo di fronte a scelte che avrebbero rischiato di allontanarmi dal cammino dei giusti. Si ecco, è proprio in quei momenti che la presenza dell’Eterno si faceva più vigile, palesandosi per scongiurare rischiose trasgressioni. In quei frangenti lo sguardo del Creatore si è sempre manifestato puntualmente per ricordarmi le mie responsabilità. Non c’è alcun dubbio che la sua Entità (suprema, ci mancherebbe altro!) ad oggi sia stata l’unica e inimitabile Guida che abbia seguito, la stessa che condusse il nostro popolo fuori dal deserto.
Ecco rabbino Vogelmann, sebbene in tutti questi anni non abbia ancora capito perché noi ebrei continuiamo a chiamare Kadosh Baruchu con tutti questi assurdi appellativi e non ci sia consentito di riferirci all’Eletto con un più semplice “Dio” come fanno tutti gli altri, non è certo questo il problema che mi toglie il sonno.
Diciamocelo, è il senso di colpa il vero motore della nostra religione. Non c’è niente di male, anzi! Non metterei mai in discussione un principio così fondante dell’ebraismo. Ma va anche detto che per il nostro popolo, il motivo per cui il Divino è sempre rimasto saldamente ancorato al suo trono nella volta celeste dipende dal fatto che è sempre stato l’Unico grande giudice dei nostri peccati. Ora non voglio dire che la mia fede stia vacillando, ma non posso continuare a ignorare l’elefante nella stanza. Ecco rabbino Vogelmann, devo confessarle che da qualche tempo c’è un’altra presenza che minaccia quella del nostro Signore. Una presenza che, ahimè, sta mettendo in crisi ogni mia certezza. Si, una presenza altrettanto severa e giudicante, e - che il Re dei cieli mi perdoni per quanto sto per dire -, mi fa sentire almeno altrettanto in colpa, minacciando in modo inappellabile il suo trono. Ecco, come forse avrà capito, la figura di cui parlo è proprio Lei...
Onorevole rabbino Vogelmann, mi rendo conto di quanto possa apparire blasfemo paragonare l’Onnipotente a chiunque altro, a maggior ragione se si tratta di una persona in carne e ossa. E non ho idea di come sia possibile che l’influenza di una ragazzina svedese che a stento ha conseguito la licenza media si sia fatta strada in modo tanto pervicace nella mia coscienza. Ma c’è poco da fare: ogni volta che mi trovo davanti al cassonetto dell’indifferenziata e sto per gettare qualcosa che avrei potuto riciclare se solo fossi stato meno pigro, mi sento come quando sto per mordere un supplì, pur essendo consapevole che contiene del proibitissimo ragù di maiale. Ogni volta che compro dell’acqua in plastica, il rimorso affiora come quando interrompevo la preghiera del mattino solo per superare i compagni di classe nella fila per la merenda. Ormai anche accendere il condizionatore ha un effetto sulla mia coscienza più devastante che rompere il digiuno di Kippur!
Qualche giorno fa ho letto che un litro di olio di frittura può contaminare un milione di litri di acqua. Ecco signor Vogelmann, stavo pensando che forse è arrivato il momento che gli ebrei romani inizino a mettere in discussione una delle loro tradizioni millenarie come il carciofo alla giudia... E già che parliamo d’acqua, si rende conto di quanta ne consumiamo solo per il rituale del lavaggio delle mani o per purificare le nostre stoviglie? Ma pensi anche al vetro, al suo ciclo di produzione e ai costi di riciclo. Pensi a tutti i bicchieri che sfasciamo nei matrimoni calpestandoli incuranti delle conseguenze. Ha davvero senso continuare a farlo? Ecco, non sarebbe più sostenibile calpestare qualcos’altro? Che so, magari dei bicchieri compostabili? E poi mi sovvengono altri interrogativi, il pane azzimo è ecologico? I nostri libri di preghiera non potrebbero essere stampati su carta riciclata? Le matzha ball che avanzano dalle nostre tavole sono biodegradabili? E i prepuzi, vanno gettati nell’umido o nell’indifferenziata?
Ma soprattutto, appurato che il principio fondante della nostra religione rimanga immutato, è possibile sostituire Dio con Greta?
Certo di un suo tempestivo riscontro, le auguro un buono Shabbat.
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Dear Rabbi Vogelmann, I venture to write to consult you about a matter of some urgency. I have always looked back with nostalgia on your lessons during my time at the Jewish School and the dedication with which you oversaw my Bar Mitzvah preparation. After many years, here I am again knocking at your door on account of a doubt that assails me, and I believe that you are the only person who can help free me from its grip. Now, I have always had the greatest respect for Ashem – the very greatest, in fact! Everything I do, I feel to be under his gaze. As you taught us, the Most High is always and everywhere, in every room we enter, in the sky over our heads: He keeps a constant watch over us while we sleep.
The gaze of the Almighty has always accompanied me through the years; I feel it especially when I find myself faced with choices that carry the risk of tempting me from the paths of righteousness. Yes indeed, it is exactly in those moments that the presence of the Eternal One becomes most vigilant, stepping promptly forward to thwart perilous transgressions. In those moments the gaze of the Creator has always made itself felt to remind me of my responsibilities. There is no doubt that his Being (His Supreme Being, don’t get me wrong!) has hitherto been the one, the inimitable Guide that I have followed, the very same that led our people out of the desert.
Well now, Rabbi Vogelman, although I confess that in all these years I have never understood why we Jews tend to address Hakadosh Baruch Hu with all these absurd appellations and are not allowed to refer to the Chosen One with the much simpler ‘God’ as everybody else does, that is not what is keeping me awake at night.
Let’s admit it, the sense of guilt is the real driver of our religion. Nothing wrong with that, far from it! I would never question such a fundamental principle of Judaism. But we should also add that as far as our people are concerned, the reason the Divine One has remained so firmly ensconced on his throne in the heavens since time immemorial is that He has always been the One and Only great Judge of our sins. Now I don’t want to say that my faith is wobbling, but I can’t go on ignoring the elephant in the room. This is it, Rabbi Vogelmann, I have to confess that for some time another presence has been challenging that of Our Lord. A presence that is, alas, undermining all my certainties. Yes, a presence every bit as severe and judgmental and – may the King of Heaven forgive me for what I am about to say – one that makes me feel just as guilty, threatening His throne in an undeniable fashion. Yes, as by now you may have guessed, it is none other than Her that I’m talking about.
Esteemed Rabbi Vogelmann, I am well aware how blasphemous it must seem to compare the Almighty with another, especially when we are talking about a flesh-and-blood human being. And I have no idea how the influence of a young Swedish girl who only just scraped through her O-levels can have made such deep inroads on my conscience. But what can I do? Every time I find myself in front of the ‘General Refuse’ bin about to throw a bag in it which I know contains something that I could have recycled if I had only been less lazy, I feel as if I have taken a bite of a supplì realising at the last minute that it contains ultra-forbidden pork mince. Every time I buy water in a plastic bottle, remorse bubbles up, like when I used to cut short my morning prayers to get ahead of my classmates in the elevenses queue. Nowadays, even switching on the air-conditioning has a more devastating
effect on my conscience than breaking the Yom Kippur fast! A few days ago, I read somewhere that a litre of frying oil can contaminate a million litres of water. So I was thinking, Mr Vogelmann, that perhaps the time has come for the Roman Jews to start questioning one of their hoariest traditions: deep-fried artichokes alla giudia... And while we’re on the subject of water, has anyone ever thought how much we waste in just the ritual of washing our hands? Then, think of glass, its production cycle and the expense of recycling. Think of all the glasses we smash at weddings, stomping them underfoot without a thought for the consequences. Does it make sense to carry on like this? Wouldn’t it be more sustainable to stomp on something else – I don’t know, compostable beakers maybe? And then other questions nag at me: is unleavened bread ecological? Are our prayer books printed on recycled paper? Are leftover matzo balls biodegradable?
And foreskins, should they go in the organic or the general waste? But above all, granted that the fundamental principles of our religion should remain unchanged, might it be possible to swap God for Greta?
Trusting in your earliest reply, I wish you a good Shabbat.
Regista, sceneggiatore e autore satirico, Alberto Caviglia nasce a Roma nel 1984. Esordisce alla regia nel 2015 con il film “Pecore in erba”, selezionato al Festival di Venezia. Per la casa editrice Giuntina ha pubblicato i romanzi “Olocaustico” (2019) e “Alla fine lui muore” (2021). Scrive inoltre per il teatro e la Tv. A partire dal 2021 è redattore del programma “Sorgente di vita” di Rai3.