COLOR TALES IN BOTTLES by Marta Spizzichino

How blue can it get? How deep can it be? 
Leggo queste domande con la stessa intonazione con cui mi è capitato di leggere il monologo di Amleto Essere o non essere: questo è il problema. Qui però non si parla di sofferenza, vita e morte ma di colori. Non ci troviamo né in Inghilterra né in Danimarca ma a New York.

How blue can it get? How deep can it be? è l’incipit di un articolo molto riuscito del New Yorker che rileggo quando il realismo dei manuali di chimica non soddisfa la mia vena sentimentalista. 

In questo pezzo scritto nel 2018 da Simon Schama c’è molto di ciò che non ho trovato altrove: è appassionante e ricco di rimandi alla storia dell’arte e alla chimica senza risultare ampolloso. 
E poi parla della Forbes Pigment Collection (New York University Institute of Fine Arts, New York), una raccolta di pigmenti in boccette voluta da uno dei pionieri dell’utilizzo della scienza applicata ai beni culturali, lo storico d’arte americano Edward W. Forbes e ampliata negli anni successivi alla sua morte. 


Saper disegnare le strutture degli aminoacidi è importante, ma è affascinante quanto conoscere le storie intrecciate alla nascita del Blu Egizio, del Vantablack o dell’International Klein Blue? 
Lo dico sottovoce ma l’International Klein Blue (IKB) - “la più perfetta espressione del blu”, un oltremare saturo e luminoso privo di alcuna alterazione - lo è di più, non togliendo nulla agli amminoacidi, ovviamente. 
L’artista francese Yves Klein, pioniere nello sviluppo dell’arte performativa, era alla ricerca della purezza cromatica, priva di imperfezioni. Non era una questione meramente estetica ma concettuale, aveva a che fare con la ricerca di un’intima corrispondenza tra natura e misura umana e con l’acquisizione da parte dei colori di una vita autonoma.
Mai commerciato industrialmente, questa nuova tonalità viene prodotta ancora oggi dal colorificio Adam in Montparnasse grazie a una resina sintetica incolore detta Rhodopas M. e al contributo di Edouard Adam, titolare del negozio ai tempi di Klein che collaborò alla realizzazione del pigmento.

Parole analoghe potrebbero essere spese per il blu oltremare, ottenuto per triturazione del lapislazzulo, noto fin dai tempi di Marco Polo. Ne Il Milione cap.46 si parla di una regione detta Balasciam - Badakhshan in lingua pashtu -, per cui “Balasciam è una provincia che la gente adorano Malcometo, e ànno lingua per loro. […] E quivi, in un’altra montagna, ove si cava l’azurro, e è ’l migliore e ’l piú fine del mondo; e le pietre onde si fa l’azurro, è vena di terra”. Questo colore pregiato e costoso cominciò a coprire le tavolozze dei pittori più ricercati, laddove l’azzurrite e il blu egizio, suoi surrogati, coloravano quelle degli artisti più poveri. 

Il blu è il colore del cielo e del mare, fondamentale dunque in ogni luogo ed epoca se non fosse che la sua gamma cromatica è tanto rara in natura quanto scarsamente ottenibile per miscela di tonalità diverse. Vediamo spesso fiori rossi, gialli e rosa, ma blu quasi mai, e se spesso lo sono - pensiamo alle rose blu dal dubbio gusto gotico - bisogna dire grazie a tinture artificiali, spesso inorganiche. 
In epoche diverse tanti sono stati i blu creati: dal color zaffiro alla carta da zucchero passando per il blu Savoia - che tuttora colora la maglia della squadra nazionale sportiva italiana - il blu di Prussia e il blu di Persia, ognuno con una storia e una chimica a sé. 

Metà del fascino che i colori esercitano deriva dai nomi altisonanti che li accompagnano. Lo zaffiro evoca terre incensate, lontane nello spazio e nel tempo. Nessuno direbbe mai che alcuni suoi piccoli cristalli si trovano sotto forma di calcite sul monte Terminillo a poche decine di chilometri da casa mia, a Roma. 

Sorte simile spetta al colore sangue di drago, noto nell’antichità e nel Medioevo per l’intensità provocata dalle ferite di presunti draghi ed elefanti. Il pigmento deve in realtà l’intenso rossore alla resina secreta da alberi provenienti dalle isole di Socotra e Sumatra, specialmente la Dracaena draco.
Vedere in foto quelle boccette che vanno dal color tuorlo d’uovo all’azzurro acqua marina mi fa sentire come una bambina in un negozio di caramelle a cui il dentista ha proibito di mangiare orsetti gommosi ma permesso di ingerire solo frutta di stagione. 
Non saranno da collezione ma dopotutto anche le tempere Giotto o i colori ad olio di Bob Ross - dal vago carattere retrò e acquistabili su Amazon per pochi euro - hanno il loro perché, no?

https://www.newyorker.com/magazine/2018/09/03/treasures-from-the-color-archive

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