DEAD END di Caterina Orsenigo e Benedetta Grasso

NON-STORIA DI UNA VITA IN QUARANTENA

di Benedetta Grasso e Caterina Orsenigo

IMG_2232 (1).JPG

“There's been rumors of war and wars that have been
The meaning of the life has been lost in the wind
And some people thinkin' that the end is close by
"Stead of learnin' to live they are learning to die.”

Bob Dylan

Qualcosa è cambiato, forse, da quando ha sentito su di sé gli sguardi duri della gente mentre lasciava il supermercato con in mano solo qualche tavoletta di cioccolato. Il cioccolato non è un genere di prima necessità, gli aveva detto a labbra strette una signora. I poliziotti l’avevano invitato a uscire più bruscamente del solito. O così gli era sembrato. 


Da allora, aveva fatto attenzione a ricordarsi sempre di prendere il cioccolato quando faceva la spesa per la settimana, in modo da confonderlo tra i beni cosiddetti necessari. Ma poi lo scaffale non era stato più rifornito. Niente più cioccolato. Come niente più rintocchi delle campane della chiesa. Per qualche ragione associava le due mancanze. Ora no. Ora non gli manca più nulla, non ci pensa più.



Se ci volesse pensare, se pensasse ancora al cioccolato, si ricorderebbe di quando, all’inizio della crisi, sua sorella Lea l’aveva chiamato in lacrime perché era saltato il suo matrimonio. Lui l’aveva consolata. Vedrai, le aveva detto, si tornerà agli anni ‘60, anche ‘50, o ‘20, si faranno le stesse cose di sempre ma in modo più semplice. Magari inviterai meno gente, magari non hai bisogno di una chiesa, tanto non sei mai stata tanto religiosa, no? Lei si era rassicurata, ma qualche minuto dopo aveva ricevuto una telefonata dal fornitore di torte. Cancellava la torta, che doveva essere al cioccolato e ricoperta con un’incredibile glassa bianca. Lea aveva chiesto se fosse per le nuove restrizioni ma loro avevano dato una risposta confusa. Era ripiombata nella disperazione. Si era poi scoperto che il suo “futuro” marito era passato davanti al pasticcere nella sala d’attesa di un ospedale perché conosceva il primario dall’infanzia. In un momento in cui le operazioni per malattie diverse da quella vigente venivano scaglionate e la cura medica veniva o no concessa a seconda del caso, il marito di Lea era riuscito a farsi vedere per il diabete, ma il pasticcere che aveva un enorme bozzolo spuntato nella notte no. 



Comunque non ci pensa. 

Edoardo si sposta con i documenti quasi cuciti nella tasca della camicia. Ha festeggiato i suoi venticinque anni, forse trenta, forse qualcuno in più. Forse ne ha già quaranta e non lo sa. Forse il tempo passa in modo strano e lui non se n’è accorto.

Qualcosa è cambiato, certo, da quando è stata varata l’ennesima estensione della quarantena e lui l’ha accolta con pacifica apatia. Prima l’aveva abbracciata per senso civico, poi con rassegnazione – ma ancora discuteva con gli amici i pro e i contro. Poi si erano affievoliti tanto il senso civico quanto la voglia di discutere. Poi, come a tutto, si è abituato.



Qualcosa è cambiato, ma non si vede, da quando i paesi non hanno più bisogno di confini. All’inizio c’è stata una forte militarizzazione, l’Europa libera era scomparsa, ma poi la gente ha smesso di muoversi e man mano le dogane si sono riempite di ragnatele e di polvere.

Quello della residenza non è stato un problema da poco. Si è trasferito in quella città per lavoro o per studiare, a vent’anni o giù di lì, senza troppi piani per il futuro, senza sapere quanto ci sarebbe rimasto. Per questo non ha mai cambiato l’indirizzo sulla carta di identità. Così, da quando tutto è cominciato, a ogni posto di blocco, a ogni macchina della polizia che incontrava quando usciva a fare la spesa settimanale, sussulta. Non aveva mai pensato di potersi sentire clandestino nel proprio paese, prima. Se lo rimandassero nella città di residenza non saprebbe dove stare: certo non da sua madre, tanto meno ora che le persone sopra i 65 anni devono vivere separatamente, in monolocali individuali, ognuno con il proprio balcone.
Quello della residenza è stato un problema per tanti, non solo per lui: certe famiglie sono state divise, più che altro dal caso. Il suo amico Carlo, che il primo giorno di quarantena si trovava per una visita nella propria città natale e di residenza, da allora non ha più visto la moglie, rimasta nel comune in cui entrambi allora vivevano e dove lei era ed è residente: semplicemente, non l’hanno più fatto partire perché secondo il documento di identità si trovava già nel luogo “giusto”. 


Tutti hanno dovuto fare delle scelte. La sua amica Sheila in Georgia, dove all’inizio è stato consentito di decidere dove passare la quarantena, si è interrogata a lungo se rimanere accanto alla nipotina di due anni o alla madre di 90. Ha scelto la piccola, meno pericoloso per tutti; la madre intanto è ancora viva, perché si vive quasi all’infinito, e sogna in solitudine i cocktail della sua giovinezza, mint julip o moonshine, sotto le stelle di una serata di settembre.


Di esempi simili ce ne sono – come gli piace questa parola – a bizzeffe. 

Ma Edoardo non ci pensa più. Intanto il mondo si è trasformato, c’è chi vive in campagna come Amish moderni e solitari, ci sono famiglie che non si vedono da tempi immemorabili, coppie che sono passate attraverso fasi di amore virtuale per poi trasformare la relazione in un’“amicizia online” tra le tante. 

È a casa. Come sempre. Da sempre, si ha l’impressione, passa le giornate a lavorare davanti allo schermo del computer. Il lavoro è cambiato, le priorità sono cambiate, ma prova a occupare il tempo. La sera, cucina in compagnia del suo coinquilino, l’unica persona che da mesi o forse anni ha il coraggio e il permesso di toccare e con cui ha il coraggio e il permesso di condividere l’aria che respira. È particolare ritrovarsi a spartire l’aria e la vita con una persona scelta dal caso, non la famiglia, non gli amici storici, non un fidanzato. Una situazione particolare, sì: forse ideale, forse ancora più sospesa.

Dopo cena guardano un vecchio film al computer, a volte insieme, a volte ognuno per conto proprio. Ogni tanto invece beve un bicchiere di vino in videochiamata con amici che non vede da una vita ma di cui ha potuto seguire da vicino i cambiamenti, la barba che cresceva, i pigiami e le tute che prendevano man mano il posto dei vestiti. Durante questi incontri virtuali, si raccontano i libri che hanno letto o i film che hanno visto, o i nuovi guizzi di creatività di vloggers e artisti un tempo famosi, ora assorbiti dal proliferare dell’offerta di evasione; o si aggiornano su nuovi programmi per caricare video online, o per riprodurre immagini di luoghi che quasi quasi sembrano veri. Si possono vedere le spiagge deserte della costiera amalfitana o del Gargano, esattamente come sono in quest’istante. O invece si possono scegliere immagini vecchie, in cui ci sono addirittura delle persone sdraiate a prendere il sole e bambini che ridono giocano e si tuffano. Così si raccontano di quanto è accurata quella o quell’altra immagine, o di quanto accurata sia la riproduzione del suono nel video di un certo musicista. Al mal di testa e agli occhi non accennano mai perché si dice che i nuovi computer non facciano male quindi inutile lamentarsi. Se la conversazione langue, il gruppo di amici si lancia in partite a carte online. In gruppi ridotti di due o tre si può anche giocare insieme a un videogioco online. Uno di loro ha una fidanzata, con cui vive dall’inizio dei tempi. Di quei tempi. Quando lei dorme, lui parlando a bassa voce può raccontare cose belle e cose brutte dell’amore. Gli altri sorridono, non lo invidiano ormai, non sarebbero più capaci di condividere la propria intimità e la gestione del proprio tempo con un compagno. Si sono abituati così, cambiare sarebbe impossibile. 
Certo, il nostro Edoardo ogni tanto ricorda il piacere e l’adrenalina di scoprire una persona nuova, un corpo nuovo. Di toccare un corpo. Ma scaccia subito quei pensieri. Ha il proprio corpo, da toccare, caso mai. Gli viene in mente quando andava a casa di sua mamma e lei lo abbracciava. A volte lo infastidivano troppe smancerie, ma quell’abbraccio, lo sapeva, gli nutriva le ossa. Anche a questo cerca di non pensare.

Da anni i suoi genitori li vede solo attraverso le videochiamate. Oramai solo sua madre, perché suo padre nel frattempo è morto, ma di tumore – succede, soprattutto a una certa età. Comunque per sicurezza aveva evitato di andarlo a trovare anche in quella situazione, troppo rischioso per entrambi. È un bravo cittadino, dopo tutto. Non vederli, e ora non vedere sua mamma, è molto più di un abbraccio. La rinuncia è vero amore, perché vedendosi, respirando la stessa aria, magari finendo per toccarsi, potrebbe infettarli, nel caso in cui lui fosse un portatore sano di quel virus che da anni attanaglia il mondo. Sua mamma oramai ha quasi ottant’anni. Ha sviluppato, è vero, altre patologie legate all’età, ma non è mai stata contagiata dal virus. Ora lui ha imparato a cucinarsi le lasagne da solo, così possono cenare insieme ogni tanto, in videochiamata.

 

È preoccupato per Elena, da quando è stata contagiata tutti la evitano. Non la chiama più nessuno, neanche lui. “È come l’AIDS” aveva detto lei quando ancora si sentivano, “ma peggio perché su di me non faranno nessun film da Oscar visto che non si possono girare film”. Ha anche paura che finisca in prigione perché non si è fatta inserire nel sistema di tracking di dati del governo per i malati o ex-malati. Per questo non la chiama più nessuno, neanche i parenti: e se un giorno chi era in contatto con lei fosse denunciato come complice?

Edoardo non è sicuro di averlo preso, il virus. Analizza in continuazione e in silenzio quel leggero e perenne fastidio alla gola, dato forse dall’aria secca dell’appartamento. In Oregon hanno creato delle comunità per poter seguire il decorso della malattia in modo sicuro, ma purtroppo bisogna essere molto ricchi per accedervi, e c’è chi dice che forse è un culto mascherato. 



A volte Edoardo esce, fondamentalmente per fare la spesa, o se proprio necessario per comprare altre cose che mancano in casa, ma cerca sempre di fare scorta in modo da non doverlo fare troppo spesso. Come tutti, quando esce, mantiene un’ampia distanza fra sé e gli altri. Toccare qualcuno è pericoloso anche per un giovane, perché il virus attacca tutti e c’è il rischio di morire d’improvviso, portati via dalle ambulanze, senza salutare nessuno, anche se non c’è più nessuno da salutare, solo il coinquilino. La paura di morire è costante. Prima era un tabù. Nel mondo di prima, quando si moriva per incidenti o malattie non contagiose, non ci si pensava mai, alla morte. Da quando si è insinuato il timore del contagio, invece, è un costante retro-pensiero e permea tutte le azioni quotidiane. Paura di essere contagiati e di contagiare. Il contatto è un rischio, soprattutto perché una volta infettati si potrebbe infettare qualcun altro e indirettamente macchiarsi di omicidio. È un rischio, quello che si corre nello stringere una mano, nel fare una carezza, nel darsi un abbraccio, che nessuno si sogna ormai più di correre.

Una volta, pur mantenendo la distanza, c’erano le code fuori dai negozi e dai supermercati e poteva succedere che due persone si parlassero. Gli era capitato di incontrare in quelle occasioni una ragazza che per qualche minuto lo aveva stregato. A una aveva chiesto il contatto e si erano per qualche tempo sentiti via chat e videochiamate, ma poi era finita lì.

Sapeva di rapporti nati in quei tempi e poi andati avanti, sempre virtualmente, per anni. A lui non era successo e ora che a far la spesa si va su appuntamento non c’è più pericolo di conoscere nessuno di nuovo. Del resto dai libri e i film che legge e vede, e soprattutto da certe ricerche scientifiche lette online, ma anche dal ricordo vago che gli resta di un amore adolescenziale, innamorarsi porta più malefici che benefici. Consuma energie, si impossessa di tempo che potremmo passare leggendo libri che raccontano storie di amori passati, sempre meglio scritti di quelli reali, ci trasforma, invade le nostre abitudini e se finisce lascia un dolore insopportabile che ci confina a letto per giorni come una malattia. Per fortuna ora non accade più a nessuno. Chi era solo, allora, è rimasto solo, e chi, come il suo amico non lo era, ha trasformato il rapporto in una fraterna amicizia.



Le campane hanno smesso di suonare, da sempre. Stanotte ha fatto un sogno strano in cui non si sentiva a più gli arti e poi scopriva che le sue mani erano fatte di cioccolato, ma si scioglievano subito. Non succede nient’altro, nessuna avventura, nessun amore, e quando sua madre morirà non potrà vederla, né per ascoltare le sue ultime parole, né per organizzare un funerale, perché anche i funerali non si fanno più. Non si recherà nella casa di cura e dunque non rischierà di ammazzare un arabo su una spiaggia. Non ci sarà mai insomma nessuna storia da raccontare, né vita da vivere.


Previous
Previous

LA METAMORFOSI di Saverio Raimondo