THE CACTUS by O. Henry (translated by Emanuele Bero)
O. Henry is the pen name of the brilliant American writer William Sydney Porter (September 11, 1862 – June 5, 1910). He wrote almost 400 witty, surprising, ironic short stories. Here is “The Cactus” (1917), translated by Emanuele Bero. The original text is below the Italian translation.
Il Cactus
Ciò che rende il tempo più degno di nota è il suo essere così puramente relativo. Un gran numero di ricordi, tutti ne convengono, viene concesso all’uomo che annega; e che si possa riconsiderare un intero corteggiamento mentre ci si toglie i guanti, non è cosa impensabile.
Era questo ciò che Trysdale faceva, in piedi accanto a un tavolo nel suo monolocale. Sulla tavola dentro un vaso di terracotta vi era una pianta verde dall’aspetto singolare. La pianta apparteneva alla specie dei cacti ed era dotata di lunghe foglie tentacolari che ondeggiavano perpetue nella brezza più leggera, muovendosi con un peculiare gesto di richiamo.
L’amico di Trysdale, il fratello della sposa, se ne stava alla dispensa perché era stato lasciato a bere da solo. Entrambi erano vestiti da sera. Nella penombra dell’appartamento delle bomboniere bianche risplendevano come stelle sui loro soprabiti.
Mentre Trysdale si sbottonava adagio i guanti, una rapida, penetrante retrospettiva delle ultime ore gli attraversò la mente. Nelle narici gli pareva ancora di sentire il profumo dei fiori ammucchiati per la chiesa in masse odorose e nelle orecchie il lieve brusio di un migliaio di voci raffinate, il fruscio di abiti inamidati e, più insistenti sul resto, le parole strascicate del pastore che la legava irrevocabilmente a un altro.
Da quest’ultima disperata prospettiva si sforzava ancora di far congetture, come se ormai fosse diventata un’abitudine mentale, sul perché e sul come l’aveva perduta. Scosso in maniera brutale dalla dura realtà dei fatti, all’improvviso si era ritrovato di fronte a una cosa mai affrontata prima—il suo più assoluto, recondito, spoglio e arido io. Adesso vedeva tutte le vesti della finzione e dell’egoismo da lui indossate trasformarsi in cenci di follia. Trasalì al solo pensiero che agli altri, prima d’ora, gli abiti della sua anima probabilmente erano parsi tristi e consunti. Vanità e presunzione? Erano ciò che teneva insieme la sua corazza. E quanto era sempre stata libera da entrambe lei… Ma perché…
Mentre lei avanzava adagio lungo la navata diretta all’altare, lui aveva provato un senso di indegno, malevolo giubilo che gli fu di conforto. Diceva tra sé che il pallore di lei derivava dai pensieri per un altro uomo, diverso da quello a cui stava per dare sé stessa. Ma perfino quella magra consolazione gli era stata strappata via. Poiché, non appena vide quel rapido, limpido sguardo all’insù che lei rivolse all’uomo quando le prese la mano, capì di essere stato dimenticato. Un tempo quello stesso sguardo l’aveva rivolto a lui, che ne aveva ponderato il significato. Per la verità, la sua presunzione si era sbriciolata; l’ultimo puntello era venuto meno. Perché si era conclusa così? Fra loro non vi era stata lite alcuna, nulla…
Per la millesima volta passò di nuovo in rassegna gli eventi di quegli ultimi giorni prima che la marea mutasse così all’improvviso.
Con insistenza lei lo aveva sempre posto su un piedistallo e lui ne aveva ricevuto l’omaggio con regale grandiosità. Era un incenso assai dolce che aveva acceso per lui; così modesta (diceva tra sé); così fanciullesca e devota, e (un tempo l’avrebbe giurato) così sincera. Gli aveva conferito un numero quasi sovrannaturale di alti attributi, e onorificenze, e talenti, e lui ne aveva assorbito l’oblazione così come un deserto beve la pioggia che non può persuaderlo a promettere germogli né frutti.
Mentre Trysdale, torvo, strappava la cucitura dell’ultimo guanto, il coronamento del suo egoismo fatuo e tardivamente compianto tornò vivido in lui. La scena rappresentava la sera in cui le aveva chiesto di salire insieme a lui sul piedistallo e condividere la sua grandezza. Adesso, per via del dolore che provava, non poteva permettere che la sua mente si soffermasse sul ricordo dell’indiscutibile bellezza di lei quella sera—l’onda distratta dei capelli, la tenerezza e la verginale malia di sguardi e parole. Ma tutto ciò era bastato e l’aveva spinto a parlare. Conversando, lei aveva detto:
«E Capitan Carruthers mi ha raccontato che lei parla lo spagnolo come un nativo. Perché mi ha tenuta nascosta una tale dote? Esiste forse qualcosa che lei non conosce?».
Ora, Carruthers era un idiota. Senza dubbio al club lui (Trysdale) aveva commesso la colpa (talvolta faceva certe cose) di dar voce ipocritamente a qualche vecchio proverbio castigliano, rivangato dalle miscellanee sul retro dei vocabolari. Era proprio Carruthers, uno dei suoi sfrenati ammiratori, ad aver glorificato questo sfoggio di dubbia erudizione.
Ma, ahimè!, l’ammirazione che lei provava era stata un incenso così dolce e lusinghiero. Lui accolse l’imputazione senza diniego. Senza protestare, le concesse di intrecciargli in fronte questo lauro spurio della dottrina spagnola. Lasciò che questo gli ornasse il capo vittorioso e, fra le delicate volute, non sentì la spina che più tardi l’avrebbe punto.
Com’era lieta, com’era timida, com’era tremante! Svolazzava come un uccello in trappola quando lui le depose ai piedi il proprio vigore! Avrebbe potuto giurarlo, e adesso lo giurava, negli occhi lei aveva quel consenso inconfondibile, ma, elusiva, non gli diede una risposta chiara. «Domani le manderò la mia risposta» disse; e lui, il trionfatore indulgente, fiducioso, ne accordò l’indugio con un sorriso. Il giorno dopo attese notizie nelle sue stanze, impaziente. A mezzogiorno lo sposo venne alla porta e lasciò lo strano cactus nel vaso di terracotta. Non vi era un biglietto, né un messaggio, soltanto un cartellino recante un nome botanico o barbaramente forestiero. Attese fino alla notte, ma la risposta non arrivò. L’orgoglio profondo e la vanità ferita lo trattennero dal cercarla. Due sere più tardi si incontrarono a una cena. Furono formali nei saluti, ma lei lo guardava col fiato sospeso, piena di domande, ansiosa. Lui era cortese, risoluto, in attesa di una spiegazione. Con la prontezza tipica delle donne, dall’atteggiamento che lui aveva lei colse l’imbeccata e prese a parlare della neve e del ghiaccio. Così, e da lì in poi sempre più, si erano persi di vista. Dove aveva sbagliato? Chi andava biasimato? Umile ormai, lui cercava la risposta in mezzo alle rovine della sua presunzione. Se...
La voce dell’altro uomo nella stanza, che si intromise querula fra i suoi pensieri, lo fece destare.
«Che poi io dico, Trysdale, quale diamine è il tuo problema? Hai l’aria infelice come se fossi stato tu a sposarti, anziché aver fatto solamente da complice. Prendi me, un altro favoreggiatore che dal Sud America si è fatto duemila miglia su una bananiera che puzzava d’aglio, piena di scarafaggi, per chiudere un occhio su questo sacrificio—da notare quanto poco mi pesa sulle spalle il senso di colpa, prego. Per giunta, di sorella minore ne avevo una soltanto, e ora non ce l’ho più. Ora vieni a prendere qualcosa per alleggerirti la coscienza».
«Adesso non mi va di bere, grazie» disse Trysdale.
«Il tuo brandy» riprese l’altro avvicinandosi, «è terribile. Ogni tanto passa a trovarmi a Punta Redonda così provi un po’ della roba che contrabbanda il vecchio Garcia. Il viaggio ne vale la pena. To’, guarda! Una mia vecchia conoscenza. Da dove caspita hai ripescato questo cactus, Trysdale?».
«È un regalo» disse Trysdale «di un’amica. Conosci la specie?».
«Sì, benissimo. È un affarino che viene dai tropici. Ogni giorno in giro per Punta ne vedi a centinaia. Ecco, sul cartellino c’è il nome. Lo sai un po’ di spagnolo, Trysdale?».
«No» disse Trysdale, con lo spettro amaro d’un sorriso, «è spagnolo?».
«Sì. Quelli del posto pensano che le foglie si tendano come per chiamarti. Ha questo nome qua… Ventomarme. Che vuol dire: “Vieni a prendermi”».
The Cactus
The most notable thing about Time is that it is so purely relative. A large amount of reminiscence is, by common consent, conceded to the drowning man; and it is not past belief that one may review an entire courtship while removing one's gloves.
This is what Trysdale was doing, standing by a table in his bachelor apartments. On the table stood a singular-looking green plant in a red earthen jar. The plant was one of the species of cacti, and was provided with long, tentacular leaves that perpetually swayed with the slightest breeze with a peculiar beckoning motion.
Trysdale's friend, the brother of the bride, stood at a sideboard complaining at being allowed to drink alone. Both men were in evening dress. White favors like stars upon their coats shone through the gloom of the apartment.
As he slowly unbuttoned his gloves, there passed through Trysdale's mind a swift, scarifying retrospect of the last few hours. It seemed that in his nostrils was still the scent of the flowers that had been banked in odorous masses about the church, and in his ears the lowpitched hum of a thousand well-bred voices, the rustle of crisp garments, and, most insistently recurring, the drawling words of the minister irrevocably binding her to another.
From this last hopeless point of view he still strove, as if it had become a habit of his mind, to reach some conjecture as to why and how he had lost her. Shaken rudely by the uncompromising fact, he had suddenly found himself confronted by a thing he had never before faced --his own innermost, unmitigated, arid unbedecked self. He saw all the garbs of pretence and egoism that he had worn now turn to rags of folly. He shuddered at the thought that to others, before now, the garments of his soul must have appeared sorry and threadbare. Vanity and conceit? These were the joints in his armor. And how free from either she had always been–But why–
As she had slowly moved up the aisle toward the altar he had felt an unworthy, sullen exultation that had served to support him. He had told himself that her paleness was from thoughts of another than the man to whom she was about to give herself. But even that poor consolation had been wrenched from him. For, when he saw that swift, limpid, upward look that she gave the man when he took her hand, he knew himself to be forgotten. Once that same look had been raised to him, and he had gauged its meaning. Indeed, his conceit had crumbled; its last prop was gone. Why had it ended thus? There had been no quarrel between them, nothing–
For the thousandth time he remarshalled in his mind the events of those last few days before the tide had so suddenly turned.
She had always insisted upon placing him upon a pedestal, and he had accepted her homage with royal grandeur. It had been a very sweet incense that she had burned before him; so modest (he told himself); so childlike and worshipful, and (he would once have sworn) so sincere. She had invested him with an almost supernatural number of high attributes and excellencies and talents, and he had absorbed the oblation as a desert drinks the rain that can coax from it no promise of blossom or fruit.
As Trysdale grimly wrenched apart the seam of his last glove, the crowning instance of his fatuous and tardily mourned egoism came vividly back to him. The scene was the night when he had asked her to come up on his pedestal with him and share his greatness. He could not, now, for the pain of it, allow his mind to dwell upon the memory of her convincing beauty that night–the careless wave of her hair, the tenderness and virginal charm of her looks and words. But they had been enough, and they had brought him to speak. During their conversation she had said:
"And Captain Carruthers tells me that you speak the Spanish language like a native. Why have you hidden this accomplishment from me? Is there anything you do not know?"
Now, Carruthers was an idiot. No doubt he (Trysdale) had been guilty (he sometimes did such things) of airing at the club some old, canting Castilian proverb dug from the hotchpotch at the back of dictionaries. Carruthers, who was one of his incontinent admirers, was the very man to have magnified this exhibition of doubtful erudition.
But, alas! the incense of her admiration had been so sweet and flattering. He allowed the imputation to pass without denial. Without protest, he allowed her to twine about his brow this spurious bay of Spanish scholarship. He let it grace his conquering head, and, among its soft convolutions, he did not feel the prick of the thorn that was to pierce him later.
How glad, how shy, how tremulous she was! How she fluttered like a snared bird when he laid his mightiness at her feet! He could have sworn, and he could swear now, that unmistakable consent was in her eyes, but, coyly, she would give him no direct answer. "I will send you my answer to-morrow," she said; and he, the indulgent, confident victor, smilingly granted the delay. The next day he waited, impatient, in his rooms for the word. At noon her groom came to the door and left the strange cactus in the red earthen jar. There was no note, no message, merely a tag upon the plant bearing a barbarous foreign or botanical name. He waited until night, but her answer did not come. His large pride and hurt vanity kept him from seeking her. Two evenings later they met at a dinner. Their greetings were conventional, but she looked at him, breathless, wondering, eager. He was courteous, adamant, waiting her explanation. With womanly swiftness she took her cue from his manner, and turned to snow and ice. Thus, and wider from this on, they had drifted apart. Where was his fault? Who had been to blame? Humbled now, he sought the answer amid the ruins of his self-conceit. If--
The voice of the other man in the room, querulously intruding upon his thoughts, aroused him.
"I say, Trysdale, what the deuce is the matter with you? You look unhappy as if you yourself had been married instead of having acted merely as an accomplice. Look at me, another accessory, come two thousand miles on a garlicky, cockroachy banana steamer all the way from South America to connive at the sacrifice--please to observe how lightly my guilt rests upon my shoulders. Only little sister I had, too, and now she's gone. Come now! take something to ease your conscience."
"I don't drink just now, thanks," said Trysdale.
"Your brandy," resumed the other, coming over and joining him, "is abominable. Run down to see me some time at Punta Redonda, and try some of our stuff that old Garcia smuggles in. It's worth the trip. Hallo! here's an old acquaintance. Wherever did you rake up this cactus, Trysdale?"
"A present," said Trysdale, "from a friend. Know the species?"
"Very well. It's a tropical concern. See hundreds of 'em around Punta every day. Here's the name on this tag tied to it. Know any Spanish, Trysdale?"
"No," said Trysdale, with the bitter wraith of a smile--"Is it Spanish?"
"Yes. The natives imagine the leaves are reaching out and beckoning to you. They call it by this name--Ventomarme. Name means in English, 'Come and take me.'"