PERCHÉ TI HO SOLO SFIORATA? - THE NEVER DELIVERED LETTER by Stefano Lazzari
The English text is below the Italian one.
Cara K.,
lo sai che ti penso? Sono passati tanti anni, ma continuo a pensarti. Forse non lo faccio spesso, ma sappi che non mi limito a ricordarti il giorno del tuo compleanno. Ti ho anche sognata; probabilmente non mi credi, ma è così.
Oggi ho deciso di scriverti, anche se non so ancora come farti avere questa lettera. Che senso ha?, potresti obiettare tu. Non lo so, ma ho delle cose da dirti. Cose che sono senza tempo e senza luogo. Per questo manca la data a questa lettera, così come manca la città dalla quale ti scrivo, del tutto irrilevante, credimi.
Perché proprio oggi, dopo tutto questo tempo?, potresti chiederti. Non lo so. Accadono cose inspiegabili a volte, accadono e basta, lo sai bene tu. Oggi mi sono svegliato, una domenica come tante altre, grigia e fredda. Sì, qui l’autunno è quasi finito, nel caso te lo stessi chiedendo, alcuni alberi sono spogli, altri resistono, le foglie gialle e rosse. Mi sono svegliato e mi sono chiesto se le cose sarebbero andate diversamente se ti avessi invitata prima a quella festa. Credo sia qualcosa che ho sempre pensato, nel corso di questi anni, ma era uno di quei pensieri che non ero mai stato in grado di concretizzare, di cristallizzare. Stamattina invece, dal nulla, mentre bevevo il mio caffè, ho riprocessato tutto. Come vedi non ti penso solo d’estate, quando si avvicina il giorno del tuo compleanno. Mi è sempre sembrato ovvio che fossi nata nella stagione che preferisco.
All’epoca ignoravo che potesse essere semplice rivolgerti la parola. Mi sembravi inavvicinabile. I tuoi occhi verde acqua, le tue fossette quando ridevi, il tuo corpo da ninfa non erano gli unici ostacoli. Avevi un carattere forte e sembravi molto sicura di te, quasi altera. Lo so, anche su questo mi sbagliavo, ma quel giorno, nel corridoio del quarto piano, non lo sapevo. Sapevo che eri intelligente, simpatica, corteggiata, mentre io ero uno dei tanti, mi sentivo parte dello sfondo.
Forse per queste ragioni ci ho messo molto a invitarti. Quando l’ho fatto ho trattenuto il respiro, aspettando la tua risposta, ero a disagio. Mi aspettavo che ti mettessi a ridere, il che è assurdo analizzandolo ora; avevo una buona opinione di te, perché avresti dovuto ridermi in faccia, per un semplice invito? Ma a quell’età la logica è il pezzo forte di pochi. Una piccola parte di me è stata felice nonostante il tuo no. Mi hai sorriso, mi hai ringraziato, ti sei detta dispiaciuta di aver già preso l’impegno con qualcun altro. Nonostante la tua delicatezza sarei voluto sparire nel pavimento di linoleum, che al quarto piano era grigio, se ben ricordo, come questa mattina.
Ero solo arrivato tardi, tutto qui. Il tempismo, ammesso che esista, non è mai stato il mio forte. Forse credere di fare qualcosa al momento giusto è una questione della narrativa con la quale si sceglie di razionalizzare la propria vita. Un modo per non ammettere che è tutto casuale: i nostri incontri, le nostre scelte, perfino le nostre passioni. Reale o immaginario, il mio tempismo non è migliorato nemmeno qualche settimana dopo la festa. Sorrido ora, mentre scrivo, perché probabilmente non ti ricordavi del mio invito alla festa né di quanto sto per descrivere. Eppure a me sembra ieri.
Stavo uscendo dalla palestra, dopo aver giocato -e perso- una partita con la squadra di basket della nostra scuola; era il giorno del torneo interscolastico. Tu stavi andando verso la palestra con delle tue amiche e quando mi hai visto, in pantaloncini e canottiera, madido di sudore fino alla barba, hai detto solo: che figo! Il mio tempismo, invece di suggerirmi una battuta brillante, o almeno un dignitoso silenzio accompagnato da un sorriso, mi ha fatto bofonchiare mi prendi per il culo? Tu hai avuto la grazia di non mandarmi a quel paese e hai detto solo no, dicevo davvero!, mentre io mi allontanavo.
Solo ora vedo chiaramente tutta questa insicurezza, la paura di non piacere, di non essere all’altezza. Adesso va meglio, ma fatico ancora ad accettare i complimenti senza scompormi. È un’arte che si apprende da qualche parte? Tu come facevi?
Ormai è passato così tanto tempo che non ricordo l’ordine cronologico delle due scene che ti ho raccontato. Le rivedo ancora oggi con nitidezza, ma sono costretto a inventare i particolari che ormai sfumano. Questo vale anche per gli altri nostri incontri. Non ce ne sono stati molti, forse una decina. Sto escludendo le volte in cui ci si trovava nello stesso luogo senza esserlo veramente, parlo di interazione, di contatto. Quante vite sfioriamo senza nemmeno rendercene conto, come ha scritto qualcuno.
Mi chiedo cosa avrei dovuto fare di diverso perché le cose prendessero una piega differente. Forse invitarti prima alla festa non sarebbe servito, magari avresti detto di no comunque. Che poi quella festa non c’entra nulla. Però era uno dei momenti in cui avremmo potuto avvicinarci e non lo abbiamo fatto.
Forse abbiamo cominciato a farlo quando era ormai troppo tardi. Ricordo il giorno prima degli esami orali. Tu sembravi più preoccupata di me, o forse io bluffavo, ma abbiamo deciso di prendere un tè al bar. Abbiamo parlato per due ore filate, di come ci sentivamo, di quello che avremmo fatto dopo la maturità. Alla fine ci siamo sentiti meglio e ci siamo abbracciati, brevemente. Purtroppo non rammento i dettagli. Di quel giorno mi resta un’immagine ombrosa, ma dai contorni nitidi: era bello parlare con te e perfino io potevo farlo.
Non ero innamorato di te, ma questo lo sai, no? Mi piacevi tanto però, e mi incuriosivi. Ma non è per questo che ho dei rimpianti, o almeno non principalmente.
Continuo a girare intorno allo stesso punto, mi chiedo solo se e quale mia frase o gesto avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Avrei potuto fare qualcosa quando siamo andati in viaggio di maturità? Te lo ricordi quel deprimente villaggio vacanze in Tunisia? Ho ancora una nostra foto di quel viaggio. Io sono seduto su una poltrona e tu sei seduta su di me, ti cingo i fianchi mentre tu intrecci le tue lunghe dita intorno al mio collo, la tua testa appoggiata sulla mia. Credo sia stata scattata dopo l’after hour che avevamo brillantemente deciso di fare la notte prima di ripartire. Mi fa male guardarla quella foto, eppure lo faccio lo stesso.
Purtroppo la mia memoria non è così buona. O forse lo è, ma non per i volti. Il tuo si sta facendo sfuggente e quindi lo riguardo, ogni tanto. E quando capita mi viene in mente che ci sono tante cose che ti vorrei raccontare, che ti vorrei chiedere. So che non è possibile, forse per questo ti sto scrivendo questa lettera, anche se probabilmente non la leggerai mai.
Forse non c’è risposta alla mia domanda. Non possiamo sapere se e come avremmo potuto creare un futuro alternativo. Come non sappiamo se questo scenario alternativo sarebbe stato migliore di quello che abbiamo vissuto. Fatico ad accettare questa considerazione che so essere ineccepibile. Viviamo in un sistema troppo caotico perché delle previsioni così granulari possano avere senso. Si può solo guardare l’insieme, sperando che si tratti di uno di quei sistemi complessi che raggiunge un equilibrio, palesando almeno alcune delle sue forme.
Per quanto affascinante sia la dinamica umana nel suo insieme, io mi sarei accontentato di conoscere la tua, per poter modificare il corso degli eventi. Avrei voluto aver la possibilità di conoscerti meglio, di scoprire le tue scelte e vederti crescere, cambiare, invecchiare; saresti stata bella a qualunque età. O almeno avrei voluto poter cambiare quella notte, in cui il tuo motorino si è schiantato, nonostante la strada sgombra e la curva larga.
Le nostre vite si sono sfiorate appena, eppure da quando non ci sei tu io non sono più lo stesso.
Mi manchi, K. Non ti ho mai conosciuta davvero, ma mi manchi.
S.
***
The Never-Delivered Letter
Dear K.,
do you know that I think about you? It's been so many years, but I still think about you. Maybe I don't do it often, but be sure that you don’t just pop up in my memory on your birthday. I also dreamed of you; you probably don't believe me, but I did.
Today I decided to write to you, although I still don't know how to deliver this letter to you. What's the point?, you might object. I don't know, but I have things to tell you. Things that are beyond time and space. That is why this letter is missing a date, as well as the city from which I am writing to you, which is completely irrelevant, believe me.
Why today of all days, after all this time?, you might ask. I don't know. Inexplicable things happen sometimes, they just happen, you of all people know that. Today I woke up, a Sunday like many others, gray and cold. Yes, here autumn is almost over, in case you were wondering. Some trees are bare, others are holding out, with yellow and red leaves. I woke up and wondered if things would have been different if I had invited you earlier to that party. I guess it's a thought I've always had over the years, but I’ve never been able to materialize it, to crystallize it. This morning instead, out of nowhere, as I was drinking my coffee, I reprocessed it all. As you can see, I don't think of you only in summer, when your birthday is approaching. It always seemed obvious to me that you were born in my favorite season.
At the time I was unaware that it could be easy to talk to you. You seemed unapproachable to me. Your teal eyes, your dimples when you laughed, your nymph-like body were not the only obstacles. You had a strong character and seemed very confident, almost haughty. I know, I was wrong about that too, but that day, in the hallway on the fourth floor, I didn't know. I knew you were smart, funny, wooed, while I was one of many, feeling like part of the background.
Perhaps for these reasons it took me a long time to invite you. When I did, I held my breath, waiting for your response; I was uncomfortable. I expected you to laugh, which is absurd analyzing it now; I had a good opinion of you, why would you laugh in my face, over a simple invitation? But at that age, logic is the strong suit of few. A small part of me was happy despite your no. You smiled, thanked me, said you were sorry and that you already were committed to someone else. Despite your graciousness I would have liked to disappear into the linoleum floor, which on the fourth floor was gray, as I recall, like the sky this morning.
I was just late, that's all. Timing, assuming it exists, has never been my strength. Maybe believing you're doing something at the right time is a matter of the narrative with which one chooses to rationalize their own life. A way of not admitting that it's all random: our encounters, our choices, even our passions. Real or imagined, my timing didn't improve a few weeks after the party. I smile now, as I write, because you probably didn't remember my invitation to the party nor what I'm about to describe. Yet it feels like yesterday to me.
I was leaving the gym, after playing -and losing- a game with our school basketball team; it was the day of the inter-school tournament. You were walking towards the gym with some of your friends and when you saw me, in shorts and tank top, drenched in sweat up to my beard, you just said: so hot! My timing, instead of suggesting a brilliant joke, or at least a dignified silence accompanied by a smile, made me mumble: are you messing with me? You had the grace not to tell me off and just said no, I meant it!, as I walked away.
Only now do I see clearly all this insecurity, the fear of not being liked, of not being good enough, or stepping up to the plate. It's better now, but I still struggle to accept compliments unbothered. Is this an art that is learned somewhere? How did you do it?
It's been so long now that I can't remember the chronological order of the two scenes I told you about. I still see them clearly today, but I am forced to invent the details that now fade away. This is also true of our other encounters. There haven't been many, maybe about ten. I'm excluding the times when we were in the same place without really being there, I'm talking about interaction, contact. How many lives do we touch without even realizing it, as someone wrote.
I wonder what I should have done differently for things to take a different turn."Maybe inviting you to the party earlier wouldn't have helped, maybe you would have still said no. Anyway, that party had nothing to do with it. But it was one of the moments when we could have gotten closer and we didn't.
Maybe we started doing it when it was too late. I remember the day before the oral exams. You seemed more worried than me, or maybe I was bluffing, but we decided to have tea at the bar. We talked for two hours straight, about how we were feeling, about what we were going to do after graduation. Eventually we felt better and hugged briefly. Unfortunately, I don't remember the details. A shadowy image of that day remains with me, but with sharp edges: it was nice to talk to you and I was surprised that even I was able to do it.
I wasn't in love with you, but you know that, don't you? I liked you a lot though, and I was curious about you. But that's not why I have regrets, or at least not primarily.
I keep circling the same point, just wondering if and what sentence or gesture of mine could have changed the course of events. Could I have done anything when we went on our trip after the high school final exam? Do you remember that depressing tourist resort in Tunisia? I still have a picture of us from that trip. I'm sitting in an armchair and you're sitting on top of me, I am girding your hips as you entwine your long fingers around my neck, your head resting on mine. I think it was taken after the all-nighter we had brilliantly decided to pull before the journey back. It hurts to look at that picture, nonetheless I do it.
Unfortunately, my memory isn't that good. Or maybe it is, but not for faces. Yours is becoming elusive and so I look at it from time to time. And when it happens, it occurs to me that there are so many things I would like to tell you, that I would like to ask you. I know it's not possible, maybe that's why I'm writing you this letter, even though you'll probably never read it.
Perhaps there is no answer to my question. We cannot know if and how we could have created an alternative future. Just as we do not know if this alternative scenario would have been better than the one we experienced. I struggle to accept this consideration that I know is unquestionable. We live in too chaotic a system for such granular predictions to make sense. One can only look at the whole, hoping that it is one of those complex systems that reaches an equilibrium, manifesting at least some of its features.
As fascinating as the human dynamic as a whole is, I would have been content to know yours in order to alter the course of events. I would have liked to have had the chance to get to know you better, to discover your choices and see you grow, change, age; you would have been beautiful at any age. Or at least I wish I could have changed that night, when your scooter crashed, despite the clear road and the wide turn.
Our lives barely touched, yet since you've been gone, I've never been the same.
I miss you, K. I never really knew you, but I do miss you.
S.
Stefano Lazzari - Sono nato e cresciuto a Milano, dove mi sono laureato in ingegneria chimica, al Politecnico. Ho poi conseguito un dottorato all’ETH di Zurigo e fatto ricerca a Boston, al MIT. Nella mia ricerca ho usato la matematica per descrivere le reazioni chimiche responsabili della formazione di materiali polimerici e semiconduttori. Ora vivo a Francoforte e faccio ricerca in un’azienda chimica. Nel tempo libero leggo, ballo tango, gioco a scacchi e scrivo. Un mio racconto è stato pubblicato sulla rivista Monnalisa Bytes.
I was born and raised in Milan, where I pursued a degree in Chemical Engineering, at Politecnico. I continued my studies obtaining a PHD at ETH in Zurich, and expanded my academic fieldowork in Boston, at MIT. I have used mathematics to describe the chemical reactions responsible for the formation of polymeric and semiconductor materials. I live in Frankfurt and I work doing research for a chemical company. In my free time I like to read, dance tango, play chess and write. A short story of mine was published by the magazine Monnalisa Bytes.