PLANT BLINDNESS by Jonathan P. Fargion
Plant Blindness
Quanti di noi sono in grado di passeggiare e riconoscere almeno tre piante che troviamo sul nostro percorso?
Nel 1998 è stato teorizzato, da due botanici e educatori Americani, Elisabeth Schussler e James Wandersee, un concetto chiamato in inglese Plant Blindness.
Trovo il termine particolarmente azzeccato: descrive l’incapacità diffusa di molte persone di osservare, riconoscere, godere della “natura” (e di cui, quasi, non ci sentiamo più parte), la quale rimarrebbe uno sfondo indefinito, un fondale confuso verso il quale l’uomo ha perso curiosità e interesse. Questo concetto non si ferma al disinteresse, ma è anche figlio dell’idea che le piante e gli alberi siano forme di vita inferiori agli animali. L’animale interagisce, si muove, produce suoni, possiede occhi, naso, bocca ha quindi caratteristiche che lo rendono più simile agli esseri umani. Riflettendoci, accade molto più spesso che nelle storie di fantasia gli animali assumano sembianze e comportamenti umani: sono invece pochi gli esempi, nel nostro immaginario, di personaggi vegetali.
Non solo.
Di una persona apatica si dice che è come un vegetale e di una in coma si dice che è in “stato vegetativo”.
Addirittura, è stato svolto un esperimento in cui, dopo aver mostrato a un osservatore un’immagine di una foresta con un solo animale rappresentato, ciò che viene riportato dall’osservatore stesso è unicamente la presenza dell’animale.
Il concetto di apatia o mancanza di intelligenza applicato ai vegetali può essere fatto risalire al pensiero di Aristotele, considerato il padre della scienza, il quale nel suo De Plantis, un trattato di botanica, rifiuta l’idea che le piante posseggano desiderio, sensibilità e intelligenza, e ciò in antitesi con altri pensatori, ad esempio Empedocle. Così inizia la sua opera (da molti considerata spuria):
“La vita si osserva negli animali e nelle piante, ma essa negli animali si manifesta in modo evidente e chiaro, mentre nelle piante è tenuta nascosta e non è altrettanto palese. È necessario pertanto, preliminarmente, avviare un'estesa indagine per trovarne la conferma. L'indagine consiste nel chiedersi se le piante hanno un'anima oppure no, se possono provare desiderio, dolore, piacere, e se sanno discernere”.
Le piante hanno, in effetti, forme di intelligenza e capacità di comunicare tra loro molto spiccate. Nuove scoperte scientifiche, avanzate dai troppo pochi e mal finanziati centri di ricerca, hanno dimostrato come alberi e altre piante abbiano una serie di capacità inimmaginabili. Le ricerche della professoressa Suzanne Simard sono sbalorditive: nei suoi studi ha scoperto che esiste in un albero madre (maturo) un istinto materno nei confronti dei suoi “baby germogli”.
Nei millenni, le piante, esseri incapaci di muoversi per fuggire da pericoli o trovare sostentamento, hanno dovuto adattarsi per poter evolvere e prosperare sul pianeta. La loro capacità di adattamento li ha resi esseri di un’intelligenza profondamente diversa da quelle che meglio conosciamo. Per esempio, è stato scoperto recentemente che gli alberi hanno sviluppato un acutissimo sistema di comunicazione attraverso segnali chimici. I segnali, provenienti dai tessuti delle piante, sono trasmessi, in superficie, tramite dispersione aerea. Ma la comunicazione più straordinaria avviene nel sottosuolo tramite un sistema simbiotico tra funghi e alberi. Le radici degli alberi si associano a un’immensa rete di apparati vegetativi filiformi di funghi che vivono nella terra, il cosiddetto Mycelium. Questo sistema è vantaggioso per il Mycelium e per la pianta perché entrambi si scambiano sostanze nutritive. La rete del Mycelium è stata paragonata al nostro sistema di comunicazione più efficace, Internet, e viene chiamata “il Wood Wide Web” (in Merlin Sheldrake, L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, Marsilio). La ricerca di Suzanne Simard si concentra proprio su questo aspetto: il Mycelium serve da autostrada di comunicazione chimica fra alberi limitrofi, li connette e permette così lo scambio di informazioni e di sostentamento: si tratterebbe dunque di una specie di comunità. Inoltre, quando la pianta è in difficoltà per il deficit di una sostanza, manda segnali agli alberi vicini i quali provvedono a supplire con il necessario. Ci si può quindi correttamente riferire per esempio a “Pando”, la foresta di Aspen in Utah, come un unico immenso individuo, formato da una miriade di alberi.
Una vaga consapevolezza della complessità del mondo vegetale comincia ad arrivare alle orecchie dei non addetti ai lavori e sempre più si sente la necessità di conoscerlo meglio, così come si studia la storia della civiltà umana. Si può cominciare lavorando contro la Plant Blindness ogni volta che ci guardiamo attorno.
Jonathan Fargion, New York, 11-16-2020
Jonathan Paul Fargion. Born and raised in Milan. He has always been attracted to beauty.
With a BcS and a Masters of Science in Environmental Architecture at the Politecnico di Milano and a specialization in ornamental horticulture he has been designing high-end outdoor spaces in New York, all over the US and internationally.
What he has learned through architecture is that everything can be a source of inspiration. He is very interested in ecology and plants as a living material to build with.