BANGKOK BLUES by Valeria Mongelli

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BANGKOK BLUES

Language: English


Yesterday night I saw a cockroach in my Bangkok hostel. He was lying still on the bathroom floor. When I turned the light on, he felt another living presence and started rolling around convulsively. I left him there, I brushed my teeth and I walked out.

The following day I saw another cockroach resting on the toilet paper roll. I pulled back in disgust, but once again I didn’t squash him. There is a bit of an an urban legend, according to which if you squash one cockroach you will attract more of them. I doubt that it’s based on any scientific evidence. Perhaps the cockroaches smell their mate’s dead body and come out to bury or avenge him.

If you squash a cockroach, you are bound to attract more… It’s similar to Desire. I don’t have any statistics at hand in this case neither. But there is almost a mathematical law that states that just before leaving for a long trip - in the time frame between four weeks and the twenty-four hours leading to your first step on the plan -, well, be careful because it’s mathematically proven that you will meet someone. It’s a true rule, believe me. A physical law, more certain than the force of gravity or the second principle of thermodynamics.

I always wondered why. Maybe it happens in order for you to leave with a bit of homesickness in your backpack. Maybe it’s because you never have the time or the energy to live these moments properly. So the desire freezes there intact, almost unexplored, and therefore absolutely perfect. Like colors when you stare at a black and white picture: they are more vivid because they are only imagined.

And I sat down, in front of that macchiato coffee, just like that, almost for fun, telling myself “Of course I’m strong, of course there is no risk attached to this rendezvous. And I sat there, as if I had always sat there and there could never be anywhere else to sit; all the worlds colliding in that moment, stirring the thick foam with my spoon, and all the past lives spent looking outside, in order not to look beyond, gathered and lined up in front of that one small cup.

And we both quote Cortázar and Tondelli by heart and I think we have a few things in common and then a kiss next to a trashcan can be quite romantic after all and …you know “isn’t this city so beautiful, after all? I never noticed.”

Life exploded inside me, in my head, in my guts.

Of course I’m not risking anything and when I realized it was already too late and you told me that you were fucking scared, what could I do? I never seem to sync up with Time and I really have to get on this plane.

And pinnacles of Arabic cathedrals are hunting me from far away and thank you really, thank you for not asking me to stay, even if you made things more difficult that way, because it’s much easier to leave when the other one holds you captive in shackles.

They were stormy days, the wind seemed restless. Days filled with accidental encounters and collisions, which truthfully are never accidental. Looking for each other and getting a little closer and then turning around and not finding each other, and only then refusing to call failure by its name, as if we just turned towards somewhere else.

Endless hours like constellations and waves, waiting for messages that arrive always too late. Or writing my texts. Always. Too. Late.

While I’m writing I’m leaving Bangkok, which is breathtaking by night. With its neon lights: ugly up close but somewhat charming seen from far away. And the car pipes’ smoke and the three thousand food-stands that fry, fry, fry. In the Thai language, Bangkok is called Krung Thep, which translated means City of angels. Did you know that every time two people waste a desire an angel dies?

The bus is full of youngsters heading to Koh Phangan for the Full Moon party. They are blond and Nordic and smoke menthol cigarettes and swallow chips from huge plastic bags and chocolate cookies then chips again and they laugh with their large faces and shiny sweaty skins filled with saturated fats and they look happy.

One shouldn’t kill angels.

And there is a part of me who didn’t want to live this thing through, for real, because this way it’s easier to write about it, it’s easier to write about things that were half-lived or not lived at all and I know that you understand this because you may be doing the same thing, because those like me, like us, we destroy compasses, we live things just to tell stories.

And during these weeks in which we all live day by day and there is no tomorrow, perhaps wasted desires are there to make us say “Wait , wait not yet, it’s true I have lived ,I have lived, I have always lived like this but…”

Wait wait, not yet.

And while I’m writing a cockroach has climbed on my knee but I don’t scream, I don’t panic, I don’t do anything because of course I’m not scared of cockroaches and neither I am of coronavirus but there is one thing that makes me shit-scared and it is called…

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Bangkok blues

Language: Italian


Ieri notte ho visto uno scarafaggio nel mio ostello di Bangkok. Era lì, fermo immobile sul pavimento del bagno. Appena ho acceso la luce, ha avvertito un’altra presenza viva e ha iniziato a muoversi, convulso. L’ho lasciato dov’era, mi sono lavata i denti e sono uscita.


Il giorno dopo ho visto un altro scarafaggio che si riposava sul rotolo di carta igienica. Ho avuto un brivido di disgusto, ma anche stavolta non l’ho schiacciato. C’è infatti una leggenda metropolitana che dice che quando schiacci uno scarafaggio ne attiri altri. Non credo ci sia alcuna evidenza scientifica a riguardo. Forse gli altri scarafaggi, sentendo odore di cadavere, vengono fuori per seppellire o vendicare il loro compagno.


Se schiacci uno scarafaggio, ne vengono fuori altri. Un po’ come i desideri. Anche in questo caso, non ho alcuna statistica alla mano. Ma c’è una regola che dice che poco prima di partire per un lungo viaggio, in quell’arco di tempo che va dalle quattro settimane alle ventiquattro ore precedenti il tuo mettere piede sull’aereo, bene, stai molto attento perché è matematicamente provato che incontrerai qualcuno. È una vera regola, credetemi. Una legge fisica più certa della forza di gravità o del secondo principio della termodinamica.


Il perché, me lo sono sempre chiesto. Forse è per farci portare nello zaino un po’ di voglia di tornare a casa. Forse è perché non si ha mai il tempo, né l’energia giusta per viverseli questi momenti. E quindi il desiderio resta lì, intatto, quasi inesplorato e per questo assolutamente perfetto. Come i colori di una foto in bianco e nero, tanto più forti perché immaginati.


E mi sono seduta davanti a quel caffè macchiato così, quasi per gioco, dicendomi figurati io sono forte figurati io mica sto rischiando niente. E mi sono seduta, e tutti i mondi in cui io, a quel tavolo, c’ero seduta da sempre e per sempre ci sarei rimasta, tutte le vite passate a guardare fuori per non guardare altrove e rigirare il cucchiaino nella schiuma rappresa si sono riunite e messe in fila davanti a quell’unica tazzina.

E Cortázar e Tondelli li citiamo entrambi a memoria e mi sa che abbiamo un po’ di cose in comune e un bacio accanto a un cassonetto può essere in fondo molto romantico e lo sai che questa città non l’avevo mai vista così bella?


Mi è esplosa la vita dentro, nella testa, nelle viscere.


Figurati se sto rischiando dicevo e quando me ne sono accorta era già troppo tardi e ho una paura fottuta così mi hai detto ma io che ci posso fare se non sono mai andata a tempo col tempo io questo aereo lo devo prendere per forza.

E pinnacoli di cattedrali arabe vengono a cercarmi da lontano e grazie davvero grazie per non avermi chiesto di restare anche se in realtà così le cose le hai rese più difficili, perché è molto più facile andarsene quando l’altro prova a metterti le catene ai polsi.

Sono state giornate furibonde, senza calma di vento. Giornate fatte di incontri e disincontri casuali, che poi casuali non lo sono mai. E cercarsi e sfiorarsi e girare in tondo e non trovarsi, e solo allora avvilire l’insuccesso chiamandolo fare un giro.


Ore infinite come costellazioni e onde, aspettando messaggi che arrivano sempre troppo tardi. O scrivere messaggi. Sempre. Troppo. Tardi.


Scrivo lasciando una Bangkok che di notte è bellissima. Con le luci al neon, che da vicino fanno schifo ma tutte insieme da lontano hanno il loro fascino. E il fumo dei gas di scarico e dei tremila banchetti che friggono, friggono, friggono. Bangkok in Thai si chiama Krung Thep, che tradotto vuol dire Città degli angeli. Lo sai che ogni volta che due persone sprecano un desiderio un angelo muore?


Il bus è pieno di ragazzini diretti a Koh Phangan per il Full Moon party. Sono biondi e nordici e fumano sigarette al mentolo e ingurgitano patatine da enormi sacchetti di plastica e biscotti al cioccolato e poi di nuovo patatine e ridono con le facce larghe e le pelli lucide di sudore e grassi saturi e sembrano felici.


Non si uccidono gli angeli.

E una parte di me voleva non viverla questa cosa perché così è più facile scriverne è più facile scrivere delle cose vissute a metà o non vissute proprio e lo so che tu mi capisci perché probabilmente hai fatto lo stesso perché quelli come me come noi gli assassini di bussole le cose le vivono solo per poterle raccontare.


E in queste settimane in cui si vive alla giornata e domani non esiste forse i desideri sprecati servono per farci dire Aspetta aspetta non ancora, è vero ho vissuto vissuto vissuto sempre però…


Aspetta aspetta, non ancora.

E mentre scrivo uno scarafaggio si arrampica fino al mio ginocchio ma io non grido non mi agito non faccio nulla perché a me gli scarafaggi non fanno mica paura e nemmeno il coronavirus, c’è invece una cosa che mi fa tanta paura e si chiama…

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