LA VIA DEI MIRTILLI di Benedetta Grasso
San Rafael, California - Aprile 2020
“Guarda questa moneta. Fissala”. In quell’aprile che sembrava un’eterna vacanza estiva, Hunter era riuscito ad avere cinque minuti d’attenzione da Bonnie, la sorellina, che aveva sbuffato invano.
“Normalmente, se la lanci, atterrerà su testa o croce, non ci sono altre possibilità, no? Beh se invece la tieni così, in verticale, e la fai girare e girare come una trottola, non potrai mai sapere se è effettivamente testa o croce, è tutte e due le cose nello stesso momento…”. Bonnie alza lo sguardo leggermente più interessata.
“Beh così funziona un computer quantistico, non è su un sistema binario”.
“È quella roba che sembra un enorme frigorifero?”.
“Sì, hai visto quel video su Youtube?”.
“Ci ho cliccato per sbaglio…”.
“Puoi prendere due stati del mondo in contemporanea e crearne un terzo. Tutti i risultati possono essere contemporaneamente 0 e 1, puoi fare calcoli paralleli e non sequenziali. Tutto è connesso, anche un qubit distante”.
Bonnie prende in mano il suo slime, una specie di pongo viscido con colori psichedelici. “Sei tu un qubit! Ma non hai interessi normali come gli altri teenager?”
Passa il padre ridendo: “La fisica quantistica è come il sesso: non ha sempre fini pratici. Ma non è per quello che si fa”.
“Papà!”. Hunter guarda in basso.
Hunter torna nella sua stanza. Una canzone di un musical triste, punk-emo su degli adolescenti nell’epoca dei poeti romantici, canta di un ragazzino che non ha potuto vivere tutto quello che sognava da grande: gli ricorda i suoi compiti, una lista in cui “scrivere tutte le cose che non si è potuto fare quest’anno”.
“Gli hanno rubato l’adolescenza” aveva sentito sbuffare il padre. “Alla sua età io non stavo un minuto a casa”. “Ma no…” aveva commentato la madre “non ha neanche quattordici anni, ci sarà tempo per esplorare il mondo”.
Hunter fissa il disegno di un mandala sul muro. Una coppia di amici di famiglia stranissimi, che lui e i suoi fratelli detestavano, l’avevano costretto a colorarlo con i pastelli: ogni volta che venivano a trovarli si accampavano senza regole né orari; non capiva cosa ci trovassero i genitori di affascinante. Dopo la loro ultima visita, aveva googlato le basi del Buddhismo su Wikipedia e persino lui sapeva che il gin tonic non faceva parte delle vie che portano al Dharma.
Khemavuol e Bayan erano amici dei suoi genitori fin da giovani. Quarantenni, vegani, avevano aperto un canale di Youtube e documentavano i loro viaggi. Anzi da quando il mondo si era fermato, erano rimasti in questo monastero campagnolo in Europa, circondati da colline e vigne e condividevano le loro giornate tipo, intervistando alcuni ospiti. Un canale a parte era dedicato solo alla loro gallina, che aveva milioni di follower e che, per non farle fare le uova – e dunque soffrire per gli esseri umani –, riempivano di ormoni. Praticamente prendeva la pillola. Una gallina femminista anni ‘70, per certi aspetti torturata forse più che in alcune grandi fattorie multinazionali. I commenti erano infuocati, ma molti li applaudivano.
Per non parlare dello scandalo di quando un giovane cameraman, appena assunto, aveva sbagliato l’inquadratura della foto del Dalai Lama nella sala di preghiera. Da Chicago, Bristol, Milano erano piovuti insulti violentissimi. Non si può nemmeno più pregare in santa pace su Zoom, come si è sempre fatto.
Gli avevano persino rovinato l’algoritmo nel telefono. A forza di parlare di Dharma, samsara, liberazione della mente, Hunter si era trovato il telefono pieno di pubblicità di tappetini da yoga, app per le meditazioni mattutine, mantra che si accendevano per sbaglio quando non aveva le cuffie con suoni gutturali inquietanti che lo spingevano ogni volta a spegnere il telefono trafelato per non attirare sguardi strani.
Un’azione simile che attrae un’azione simile. Dici una parola e quella si materializza nel tuo computer, nell’I-phone. La tua azione diventa reale. Era come essere incappati in un personaggio losco che pian piano faceva dimenticare chi eri prima, ti portava su una strada nuova, strana e improvvisamente finivi su un sito indiano e senza accorgertene nemmeno ti trasformavi tu stesso nella versione occidentale di un guru indiano.
Mentre le democrazie globali crollavano a colpi di queste “attrazioni tra simili”, di veli che si sovrapponevano, ora persino Spotify lo tormentava con una banda Slovena, Siddharta, un gruppo di proto-hipster barbuti che cantavano musica rock.
Quella sera era andato a dormire con una sensazione strana. Perché non riusciva a smettere di guardare i loro video? Erano come i tanti a cui ti affezioni online seguendone le avventure, o era un piacere perverso? Da piccolo lo guardavano malissimo qualsiasi cosa facesse, e non aveva mai capito bene perché. Hunter si era addormentato mentre il computer trasmetteva in loop i video della coppia.
Monastero - Campagna 2020
Nel mezzo della natura, tra colline più adatte a una pubblicità del vino o a un film neo-realista, immersa in uno sketch dei Monty Python su dei monaci buddisti che sanno distinguere i tipi di Merlot, brulica una comunità internazionale, senza senso di appartenenza a un unico paese, tibetani, giapponesi, francesi, italiani, americani, star di reality show, volontari, esperti e monaci a capo di seminari internazionali: l’Harvard del Buddhismo. Vie razionali e irrazionali, cibo e gift shop, trasporto fisico e libri, turisti e iniziati, connessioni immediate e connessioni su Zoom per gli adepti oltreoceano.
Al canto del gallo, mentre i “maestri”, i monaci principali, si concentrano sulle loro meditazioni mattutine e si interrogano sul futuro, sul mondo che verrà dopo questo Dalai Lama, già anziano anche se sempre sorridente, Khemavuol e Bayan si svegliano.
Khemavuol, che in tibetano vuol dire “serena” ha realizzato troppo tardi che il suo nome sembra più un brusco modo di apostrofarsi napoletano, ma d’altronde un forum online aveva votato per quello. Il marito Bayan l’aveva conosciuto nel monastero, dove lei era cresciuta figlia di una “comune” indefinita, di genitori intercambiabili.
Il video che aveva ottenuto più visualizzazioni e li aveva resi celebri (e pagava l’affitto) era Bayan che spiegava che il Karma era un po’ come lanciare i dadi in Dungeons & Dragons: l’intenzione con cui lo facevi, i ‘punti di iniziativa’, il modo in cui colpivi o aiutavi un altro avevano un impatto sul senso finale del gioco. Per un po’ avevano anche cavalcato l’onda di comunità virtuali che credevano che il virus fosse un essere vivente anche lui, ma poi si erano resi conto, da bravi Buddhisti, che non ci si può concentrare su una cosa sola che poi passa, come tutto: tra pochi mesi magari nessuno avrebbe nemmeno più saputo cosa fosse quel virus.
La sofferenza, reale o percepita, di ogni persona che arrivava in monastero, variava, da problemi enormi a fastidi da ragazza del primo mondo, come non avere l’aria condizionata. Il monastero dava una seconda vita e faceva da riabilitazione ad alcune persone, da distrazione e scoperta interiore ad altre, e per altre ancora da set fotografico davanti ai mille templi colorati, giostre su cui girare come musei interattivi, dove si può far ruotare i rotoli di preghiera, spingere con la mano un manubrio sacro girandolo come le tazzine del tè a Disneyland, o mettersi di fronte alla statua di Buddha donata al monastero da un celebre regista.
Avevano cercato invano di convincere i monaci a non mangiare la carne, ma confondevano Induismo e Buddhismo. Ariun, il maestro più illuminato, aveva risposto che pure se a uccidere erano i cacciatori della Simmenthal a lui importava poco, la mangiava lo stesso, era cresciuto con pochissimo da mangiare, solo animali di montagna e gli ricordava il primo vero pasto caldo quando l’avevano accolto da bambino in un monastero. Era nato pochi mesi prima che la Cina mettesse a ferro e fuoco tutto, rendendoli rifugiati, eroi dei quattordicenni con la bandiera del Tibet sullo zaino e migliori attori non protagonisti a fianco di star hollywoodiane sexy. Alcune star, d’altronde, ci venivano anche lì, e portavano soldi e offerte ben migliori delle Pringles o dei biscotti d’avena e alla Nutella che decoravano miseramente gli altarini.
I video dei droni del luogo erano meravigliosi, parchi sconfinati, giardini “zen” al fresco con laghetti e alberi rigogliosi, il silenzio interrotto solo dalle cicale, brezza fresca, infinite sfumature di verde e mille colori nelle bandierine, nelle statue, nei templi e nei vari “monumenti” e centri che sembravano, in modo autentico, trasportarti in Cambogia e in Tibet. Forse non come a Disneyland, ma bastava un giro in macchina per essere davvero nel Sud-est asiatico.
Una monaca (un tempo un monaco) era diventata una star del web con diecimila visualizzazioni al giorno, un’influencer di parole e insegnamenti confortanti.
Khemavuol aveva guardato turbata una volpe che era entrata durante la notte in casa e fissava interessata la gallina, cercando di scacciarla con gentilezza. “Non sono mica solo i Buddhisti, una volta Pitagora vide qualcuno che maltrattava un cane e lo fermò perché riconobbe nel timbro del suo abbaiare un amico”.
Bayan aveva sentenziato: Questa volpe…ha il timbro di voce di mia suocera, tua madre… può anche tranquillamente andarsene”
“Tu pensi sempre solo a trovarle una badante”.
“Beh gli ultimi badanti non sono stati molto fortunati al monastero. Il tipo estone che avevi assunto, era anche carino nei momenti in cui non aveva flashback terrorizzanti da veterano di guerra”.
“Aveva solo mal di montagna”.
“Se ti sterminano la famiglia, vivi vendendo armi della mafia russa e finisci in un monastero forse è un mal di montagna un po’ più serio”.
“C’è sempre il giardiniere!”.
“Quello che è agli arresti domiciliari?”.
“Era un rapinatore ma ha cambiato vita poi… con Buddha…”.
“No lui ha detto che erano gli elfi che avevano fatto la spia su dove si trovava”.
“Stai ancora filmando? Guarda che va tutto su Youtube…”.
“Sì ma sono idee affascinanti, per gli antropologi che verranno. E poi è giusto non edulcorare la sofferenza, raccontare le cose come stanno, non coprire tutto. Molto meglio mettersi le pantofole che ricoprire di tappeti tutto il mondo. Diceva Buddha. Questi video sono le nostre pantofole. Aiutiamo pian piano”.
San Rafael, CA – 2020
Hunter si sveglia in lacrime. Il cuore batte forte. Non riuscendo a dormire raggiunge il padre che sta fumando una pipa nel giardino di fronte a un vecchio cedro.
“Era un sogno assurdo, dicevano che il virus finirà quando avrò 35 anni, è lontanissimo. Poi è tutto faticoso, gli insegnanti sono tutti inutili, non capiscono, io sento che non troverò mai una mia strada”.
“Avevo trentacinque anni quando sei nato, ho sempre pensato fosse l’età perfetta” dice serafico il padre. Hunter sorride.
Torna in stanza e guarda l’ultimo video della coppia nel monastero dal titolo assurdo: “Tecnico del suono che si è buttato dal balcone – non è morto!”.
Apprezza almeno, guardando i commenti, che non è solo clickbait, ma è una storia vera. L’ultimo tecnico del suono si era buttato da un balcone al centro del monastero, ma incredibilmente non era morto, era rimasto in coma solo per 8 minuti e 3 secondi, la durata esatta del video.
Sullo sfondo lo colpiscono dei bambini bellissimi, tibetani. Lo riguarda ridendo qualche volta, poi fermando l’immagine sulla faccia dell’uomo sofferente. Non ha mai visto una tale sofferenza negli occhi di qualcuno. Non era come quando Bonnie si sbucciava le ginocchia o quando a scuola lo prendevano in giro. Tutto lascia un’impressione dentro di noi, scrive su una storia di Instagram. Tutto ha causa ed effetto, forse non lo capiamo, forse sì. Immancabile arriva il messaggio di una sua amica “Tutto bene? Cosa sono queste frasi misteriose?”. Hunter sorride, era bello che lei si preoccupasse per lui, non gli era mai successo prima.
Incuriosito, cercando la band slovena, aveva cliccato su un altro significato di Siddharta. Scorre con lo sguardo un testo lunghissimo soffermandosi su una parola tedesca. Lebenskrankheit, la malattia della vita. Uno scrittore svizzero aveva passato metà della sua vita a scrivere un romanzo su una figura sacra del Buddhismo, per provare la stessa trascendenza del suo protagonista, ma aveva faticato, immerso in questa Lebenskrankheit. Forse, pensa Hunter, senza quella non l’avrebbe mai finito. Come Siddharta, aveva imparato delle cose dal mondo. E chissà se avrebbe mai potuto conoscere un dottore simpatico, ex hippy a Palo Alto, una volta gli aveva parlato di biocentrismo, di particelle subatomiche che ritornano dopo la morte in altre forme. Magari erano tutti scienziati e non sapevano di esserlo.
Una strana energia lo riempie di voglia di fare improvvisamente. Riprende l’iPad in mano per compilare l’iscrizione a un corso di coding che non è ancora riuscito a finire. C’è solo la sua data di nascita, il 3 settembre del 2007, fresco come il primo Iphone.
Monastero - Campagna - 2020
“Non è mai nato, non è mai morto. Non nascerà, né morirà” sentenzia Bayan.
“Beh avrà pur diritto a un compleanno sto poveretto però?” ribatte la moglie.
A fissarli un bambino tibetano, vicino di casa, sui 9-10 anni, lo sguardo intenso e serio.
“La materia non è importante, non vuole regali o torte, vero Tenzin?”.
Tenzin abbassa la testa mogio.
“Alla mia età mia mamma è scappata ad Amsterdam a raccogliere tulipani. Poi ha scoperto l’LSD, poi i funghi che ha cucinato per tutti una volta e sono stati male e allora non ha mai cucinato più, ma una volta mi ha fatto provare un McFlurry. Sai farlo?” chiede il bambino.
“Vegano va bene?” dice Khemavuol.
Segue un minuto di silenzio interrotto dal suono di un frullatore.
“Mia madre pensa che io lavori in banca, forse ti diverti di più così” aggiunge Bayal.
“Cos’è una banca?” chiede perplesso il piccolo.
“Facciamo un video per i nostri follower per il tuo compleanno?”.
Il bambino sorride e si mette in posa.
Vedono passeggiare Ariun, il maestro, fuori.
“Sembra sempre così serio. Non ridono tutti i lama?”.
“Non è un lama, Bayal, per la millesima volta. È un maestro, un Geshe”.
“Comunque nel settembre del 2007 gli è successa una cosa molto brutta. Ma a proposito di Lama, sono tutti disperati perché non riescono a trovare il nuovo Dalai Lama, uno è in mano ai cinesi e l’altro credo sia scomparso”.
Ariun bussa. Loro gli offrono dei biscotti. Lui stringe le mani in segno di ringraziamento. Fa un respiro profondo guardandoli, quasi con pietà. Poi dice:
“Per comprendere tutto, è necessario dimenticare tutto. L’esistenza materiale, la rupa, poi porta a quattro sensazioni, contemporanee, totali: vedana, samina, samskara, la costruzione psicologica, e infine vinana la conoscenza più profonda, la consciousness, come dicono gli americani. È l’unica Via”.
“È stato in America, maestro?” chiede Bayal.
“Sì… tanti anni fa”.
San Rafael, CA – 2020
Hunter ha il libro di testo aperto sul disegno di un cervello colorato, con fumetti attorno di colori diversi.
“Ma davvero ti stanno così antipatici Khemavuol e Bayal? In realtà sono in un posto bellissimo ora” chiede la madre portandogli un piatto di pesce.
Il padre ride. “Non rendono le cose facili”.
Bonnie lancia una pallina rimbalzante contro il muro “Hanno sempre l’odore di tè, anche in bagno”.
Hunter ride “È incenso, Bonnie”.
Il padre si fa serio. “Pensa che erano qui la notte che sei nato. E Ariun, uno dei maestri attuali che tiene seminari in Europa, prima di trasferirsi in quel monastero aveva girato tutti gli Stati americani, in case di ricchi e di poveri, l’avevamo ospitato anche noi.”
“Da piccolo pensavo che ce l’avessero sempre con me”.
“Ma no è… Sai, la sera prima che tu nascessi Ariun, il maestro, aveva ricevuto una notizia terribile. Il suo amato fratello maggiore, un monaco molto illuminato, seguito fin da piccolo perché prometteva grandi cose per il futuro… stava male, dopo le torture dei cinesi non si dava pace e aveva preso delle pillole… troppe pillole… Ariun fissava quella pianta lì in giardino in modo stoico, ma dentro si vedeva che era disperato. Aveva provato a chiamarlo ma lui non aveva un cellulare e pochi minuti dopo tua mamma ha iniziato ad avere le doglie e abbiamo dovuto seguirla all’ospedale. Il fratello di Ariun era amico anche di Khemavuol e Bayal e non sono riusciti a vederlo morire, erano molto tristi. Ariun da quel giorno aveva deciso che la sua mente era ricca di possibilità. Ti aveva preso in braccio e sorriso. Era molto emozionato alla tua nascita e aveva detto che anche la tua mente era ricca di possibilità”.
“Avevate quindi conosciuto anche il fratello?”.
“Sì l’avevamo ospitato, anche lui. Si era mangiato tutti i mirtilli”.
“Ma devi avere veramente voglia di passare la vita a insegnare, illuminare gli altri. Come Doctor Tucker. Ci sono troppi limiti oggi. Per quello voglio studiare sistemi non binari”.
Dopo cena, padre e figlio si siedono su delle sedie a dondolo fuori, sotto un cielo stellato.
Una vibrazione. Arriva un video da Bayan via sms al padre: “È un anno davvero stressante, anche dopo qualche settimana qui in monastero e non riusciamo a trovare pace. Litighiamo sempre”.
“Non so se la troveranno mai, la pace” commenta il padre di Hunter. “Per Buddha è iniziata insegnando a 35 anni, per me è passeggiare nei Muir Woods di Kerouac, avere i miei riti, il mio vuoto”.
“Sì, non credo che il luogo aiuti molto” aggiunge Hunter. “Il mio insegnante di chitarra mi dice sempre di ripetere delle cose ogni mattina per stare meglio. Ha aiutato molto, come internet, mi ha tolto dei limiti”.
Monastero, Campagna – 2020
Ariun si connette su Zoom. Vicino al computer ha una foto incorniciata. Sorride, è più giovane e tiene in braccio Hunter appena nato, vicino ai suoi genitori.
San Rafael, CA – 2020
Hunter nello stesso momento clicca sulla foto su Google di Ariun e del fratello, fa un’espressione corrucciata, simile a quella della seconda foto. Com’era la vita prima del wi-fi?
Poi si sdraia contemplando il soffitto, mette la musica nelle orecchie, tira fuori da sotto il letto una cassetta piena di mirtilli e con sguardo serafico guarda il soffitto, ascoltando la musica e mangiando mirtilli.
@BenesBorough: Benedetta Grasso. Typing letters on a laptop since the age of crayons and baby bottles. NYU-Tisch Alumni. New Yorker, award-winning film screenwriter, published writer, essayist and cultural journalist on several newspapers. A brain split between American culture, children stories, anthropology, folk music, reveries in nature, generations of borderless states of mind.
*There will be an English version of this short story in the future.