SCIENZA RITEGNO by Antonio Pilato
Estratto da “Scienza Ritegno” -
In una città come tante altre, un individuo di nome Zacarias Carrasco è alla ricerca di risposte dopo essersi imbattuto in un misterioso libro. L’indagine sarà sempre più abbracciata dall’ombra di una strana maledizione, che forzerà la ragione del protagonista a collassare verso un abisso di disperazione. Dopo svariati viaggi, presenti e passati, strani e grotteschi, fisici e mentali, la coscienza del protagonista scoprirà pian piano una verità inimmaginabile, fatta di indicibili rivelazioni atte a oltrepassare i limiti della follia più pura.
Prologo
È vano credere alla remota probabilità che esistano soltanto i canali sensoriali per accorgersi dell’effettiva presenza di chi si cela nell’ombra.
Io, Zacarias Carrasco, nel corso della mia esistenza ho avuto modo di leggere numerosi saggi a favore di questa ipotesi e devo affermare, anche con lieve presunzione, che non ho ancora scoperto alcuna tesi in grado di confutare totalmente la possibilità che la percezione riesca ad andare oltre il sensoriale.
α
Alma è l’unica città che mi appartiene e a cui appartengo.
In seguito a un terribile lutto familiare, Alma è il luogo in cui ho approfondito i miei tormentati studi sulle analisi svolte da affermati scienziati umanistici in merito all’argomento della percezione e a come questo processo permetta di cogliere dettagli che sono notoriamente nascosti durante la quotidianità del quieto vivere. Mi vengono in mente, ad esempio, i camaleontici studi sulle caratteristiche cabalistiche della psiche, realizzati dal geniale Pico della Mirandola, oppure le analisi sulle elementali qualità della vita, svolte dal mastodontico Paracelso.
Sono convinto che chi riuscisse a superare la coscienza stessa, grazie a una conoscenza particolarmente ottenebrata e a precise doti molto complesse da acquisire, sarebbe in grado di estasiare persino le menti più scettiche e più pessimistiche.
Al di là delle copiose equazioni che aspirano a calcolare gli assiomi più strani delle realtà filosofiche e matematiche, credo di aver raggiunto il culmine delle mie scoperte in un lontano pomeriggio piovoso di qualche tempo fa, mentre leggevo un saggio contenuto in un libercolo alto neanche due dita; ricordo che era una di quelle raccolte scientifiche che odoravano di vecchio e le cui teorie risultavano troppo datate per essere considerate attendibili. Mentre sfogliavo quelle pagine anziane, più per inerzia che per vero e proprio interesse, il mio occhio incappò in una parola, un termine scientifico che mi incuriosì a tal punto da sembrare quasi un déjà vu: il vocabolo era ‘scoptofobia’. La parola, ricercata subito dopo con curiosità all’interno di un vocabolario, rivolge il suo oscuro significato al timore di venire osservati: gli agenti che osservano l’individuo affetto da tale fobia possono essere sia esseri umani, sia altre tipologie di esseri.
Ricordo bene quanto fantasticai in quell’uggioso pomeriggio sulle identità di entità umane e aliene, nonché su quanto fosse curioso che tale termine si palesasse in ricordi lontani: un paradosso cognitivo dove la scotofobia non la conoscevo e, tuttavia, la ricordavo.
Stregato dall’argomento, i miei studi cambiarono rotta, vertendo immediatamente nell’analisi, nell’indagine, nell’investigazione dell’identità di chi poteva effettivamente scrutare me, sia alla luce del sole, sia all’ombra della notte; inoltre, ero intenzionato persino a sondare ciò che si fosse trovato al di là della stessa realtà che tutti conoscono, oltre il sipario di un ‘altrove’ impossibile da carpire soltanto con la mera coscienza.
Mi trovavo ad Alma da una decina d’anni quando scoprii quella parola, quel termine, quel significato durante un comune pomeriggio di pioggia.
β
Fin dal principio di quel decennio di ricerche, fin dall’inizio del mio secondo ritorno ad Alma, vivevo e vivo tuttora in un piccolo condominio lungo la periferia del centro della città.
L’appartamento non è particolarmente ampio, né moderno: l’entrata si apre su un piccolo salotto che comunica con altre tre stanze, tutte provviste di finestra: una cucina molto stretta con un tavolo allungabile, un bagno ridotto all’essenziale e una camera provvista di armadio adiacente a un giaciglio a due piazze.
Ho sempre dovuto parcellizzare il tempo da dedicare a me stesso e ai miei studi poiché il lavoro in una delle fabbriche più influenti della città occupava gran parte delle mie giornate: accusavo sempre di più, col passare degli anni, la sofferenza nel non riuscire ad approfondire deduttivamente le complesse teorie di cui ero tifoso incallito.
Le poche ore in cui non lavoravo e in cui non dormivo si dividevano fra boriose faccende burocratiche e appassionate letture all’interno della maestosa biblioteca di Alma: è infatti avvenuto proprio in quel luogo il primo incontro, prettamente lessicale, fra il sottoscritto e la scoptofobia.
La biblioteca di Alma si presenta come un gigantesco fabbricato interamente di legno, divergente dalla materialità degli edifici adiacenti: nel corso del tempo la struttura si è vista risparmiata da diversi interventi di ristrutturazione poiché, a detta di alcune autorità cittadine, lo stabile è dotato di elementi architettonici legati a culture passate e quindi degno di rispetto culturale e soprattutto edile.
Coloro che avevano proposto le ristrutturazioni della biblioteca di Alma non avevano tutti i torti: infatti, l’edificio, pur godendo di speciali privilegi legati alla propria storia, appare senza alcun dubbio prossimo al pericolante decadimento strutturale ed è incredibile come, fino ad ora, non abbia mai realmente ceduto alla pioggia o ad altre intemperie legate alla mano, spesso matrigna, della natura. La grande sala di lettura interna rappresenta l’unico vero spazio della biblioteca di Alma, se si escludono l’ufficio amministrativo, l’area per i servizi igienici e il piccolo piazzale esterno.
Alla base dell’aula rettangolare si trova un pavimento ligneo, mentre le pareti sono coperte da una moltitudine di vecchi scaffali, pieni zeppi a loro volta di volumi perlopiù ingialliti e malandati.
La sala di lettura dispone di due paia di scale, site ai quattro angoli delle pareti, attraverso le quali si può accedere a un piano rialzato, anch’esso ben farcito di volumi datati.
Numerose tavolate di legni pregiati, ispirate probabilmente alle vicende storiche più famose del folklore contemporaneo, ospitano quasi sempre diversi libri, ritirati dalle mensole e spesso poggiati sopra leggii mentre vengono letti, con inquietanti sussurri, dalle persone sedute.
I frequentatori che più spesso noto nella biblioteca di Alma ricoprono una variegata gamma di profili differenti: dai ricchi signorotti proprietari di qualche piccola impresa emergente alle più spensierate studentesse immerse in pensieri d’amore, dalle raffinate donne di mezza età profumate con ogni tipo di essenza ai più scabrosi reietti della società rintanati nell’edificio per non patire il freddo, spesso pungente, della città di Alma.
Quel pomeriggio la pioggia scendeva in maniera costante da un cielo che sembrava inquinato e, in tutta sincerità, quella era l’unica cosa che mi forniva una reale tranquillità mentre mi trovavo nella biblioteca di Alma. Il silenzio, rotto in maniera incostante dagli ignari bisbigli dei lettori, mi creava spesso sintomi di irrequietezza: quel sommesso vociare mi ricordava, infatti, il continuo masticare di una qualche creatura chimerica, il ruminante suono prodotto da tante bocche aliene, magari con una conformazione anatomica differente da quella umana, ma provenienti tutte dallo stesso corpo senza una forma precisa.
Ricordo che a un certo punto non riuscivo più a stare fermo: quei suoni, paragonabili a una litania funebre, non mi permettevano di concentrarmi appieno.
Abbandonai frettolosamente la lettura e mi alzai dalla postazione in cui ero seduto; il libro che avevo appena iniziato a leggere, poco dopo aver appreso il significato della scoptofobia, era un saggio che trattava in forma analitica gli effettivi successi delle capacità sensoriali umane nell’epoca denominata ‘Antropocene’.
Girovagai nell’edificio, vagabondando senza una meta precisa e col solo scopo di distogliere l’attenzione da quelle voci flebili e penetranti.
Percorrendo parallelamente le pareti colme di libri non mi servì molto tempo per accorgermi, quasi inconsapevolmente, della presenza di un piccolo tomo, posto su una mensola non troppo alta da raggiungere. In quello scaffale al pianterreno, il tomo faceva risaltare la sua divergenza rispetto agli altri volumi: infatti, la copertina di color blu elettrico possedeva un abito cartaceo differente da quello che apparteneva alla stessa biblioteca di Alma.
Quel libro era una giovane pecora nera di carta, in gran contrasto con l’incredibile mole di anziane pecore bianche che popolavano quei vecchi ripiani; sembrava il tassello di un puzzle che conteneva un colore, un’immagine, un disegno nettamente fuori luogo rispetto a quello che era il ritratto generale degli scaffali. Sul dorso, la copertina sembrava non aderire perfettamente al libro e lo estrassi dall’incavo nel quale era stato riposto dal precedente lettore: il titolo che compariva sulla copertina anteriore era ‘Kopèo vittima di Phóbos. L’osservazione deturpata dalla paura’.
Incuriosito da tale frase, lo presi con entrambe le mani e il pensiero di incominciare subito a leggerlo, alimentato da una crescente curiosità, mi pervase istantaneamente, facendomi dimenticare persino di guardare chi fosse l’autore o quale fosse il costo del prodotto.
Poiché le letture litaniche nella zona in cui sostavo erano di minor numero e pronunciate a bassissima voce, mi sedetti su una delle poche sedie che erano rimaste disponibili; non appena mi appoggiai allo schienale, mi parve di essermi accomodato sul trono abbandonato del castello in rovina di un antico reame lontano: non c’era alcun dubbio in merito al fatto che i miei pensieri, pompati insensatamente dall’inquieto entusiasmo per la nuova lettura che mi attendeva, fossero connessi alla voglia di fantasticare con ironia su ogni cosa che mi fosse venuta in mente in quei momenti. Per quanto bizzarro che fosse, interpretai quella sinergia come un buon riscaldamento per incominciare a leggere.
Antonio Pilato (Ravenna, 11 Marzo 1990) è uno psicopedagogista e uno scrittore italiano. Fin da bambino si appassiona alla letteratura dell’orrore, leggendo in casa e a scuola i romanzi brevi della serie Piccoli brividi di R. L. Stine. Terminati gli studi liceali, s’iscrive all’Università di Bologna, laureandosi in Scienze del Comportamento edelle Relazioni Sociali nel 2013, e in Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi nel 2015. Nel frattempo, inizia a conoscere più da vicino la prosa di S. King, leggendo diversi romanzi e alcune raccolte di racconti. Dal 2016 la sua visione della letteratura si allarga ad altri autori, primi fra tutti H. P. Lovecraft e T. Ligotti, iquali influenzeranno non poco i suoi pensieri e il suo immaginario, portandolo a laurearsi una terza volta nel 2018, questa volta in Pedagogia, e a dedicare la sua tesi di laurea proprio al tema dell’infanzia insita nei contesti della letteratura dell’orrore.Dal 2018 inizia a scrivere, preso da una forte ispirazione innata e arcana, una serie di racconti di genere weird che traggono ispirazione, oltre che dai suddetti scrittori, anche dalla penna di molti altri autori, come E. A. Poe, A. Christie, C. A. Smith, R. W. Chambers, E. S. Gardner e H. Murakami.Nel 2020 pubblica la sua prima raccolta di racconti, intitolata “Incubi grotteschi di esiliati sognatori”.