UN BAMBINO COMPLICATO by Dario Borso

L’Ecce puer di James Joyce

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Per la prima parte di questa riflessione su Ecce puer, leggete la nostra sezione Fuori Modem. Articolo comprensivo della versione originale, sempre di Dario Borso.

La storia francese di Anna Livia Plurabelle, capitolo di quello che sarebbe diventato Finnegans Wake, è nota: nella primavera del 1930 James Joyce (1882-1941) la dette da tradurre a Samuel Beckett (1906-1989) che si valse dell’aiuto di un amico; a fine novembre però l’autore, insoddisfatto, inglobò i due in un’équipe di sette membri in tutto che si riunivano o corrispondevano settimanalmente, con lui in veste di supervisore.

Il più in vista dell’équipe, insieme al fondatore del surrealismo Philippe Soupault, era l’ebreo bilingue Yvan Goll (1891-1950). Esule durante la Grande Guerra a Zurigo dove conobbe l’esule Joyce, da lì era passato con la moglie Claire a Parigi. Durante le vacanze estive del 1920 a Ville-d’Avray, venne raggiunto da un Joyce con famiglia a carico bisognoso di tutto, persino di un editore tedesco per il suo Ulysses. Ma meglio far continuare Claire:

Corrispondente parigino delle Editions du Rhin, Goll dette subito la sua parola. Ignorava che l’editore avrebbe respinto questa idea con orrore:

– Quest’opera pornografica e incoerente non ha niente a che fare con le nostre collane, disse.

Bisognò che Goll minacciasse di dimettersi, per farlo tornare sulla sua decisione. Joyce lo ritenne il minimo che si potesse fare per lui.

In autunno Joyce si stabilì a Parigi, e iniziò la schiavitù di Goll. Se s’interrogava su un’etimologia, se esitava sulla traduzione di un termine, Joyce convocava immediatamente il suo segretario benevolo. Avendo orrore del telefono, mandava posta pneumatica senza tante cerimonie: “Venga immediatamente, l’attendo”. Subito Goll saltava su un taxi per recarsi all’appello di colui che chiamava “l’Omero del XX secolo”.

Quando il traduttore tedesco inviava un capitolo, Joyce convocava Goll, e tutti i giovedì si trovavano per rivedere il lavoro della settimana. Joyce aveva sufficientemente il genio della lingua per tradurre da solo, ma era troppo artista per sottomettersi a un testo, fosse pure il suo. Sarebbe stato tentato di riprendere, di trasformare.

Joyce ebbe due segretari benevoli, che sfruttò senza scrupolo: Goll, e più tardi Samuel Beckett. Li faceva correre a comando senza pagarli, salvo accordare loro un po’ di attenzione. Editori, traduttori, mecenati dovevano essere al servizio del Maestro. Siccome conosceva tutte le lingue tranne il russo, supervisionava l’insieme, poi spingeva ciascuno a controllare tutti gli altri.

Un giorno ci invitò alla lettura di Finnegans Wake. Si credeva su una scena d’opera e salmodiava il suo testo su diversi toni. Avrebbe dato senz’altro tutto il suo talento per diventare un gran tenore. Realizzò il sogno col suo ultimo testo. La marmellata verbale che declamava stava a mezzo tra la letteratura e il canto. Ho avuto l’impressione che Joyce si divertisse davanti al nostro sbalordimento.


Il 26 marzo 1931 la traduzione francese di Anna Livia Plurabelle fu festeggiata pubblicamente; Joyce definì “trionfale” l’evento, e altrettanto soddisfatto fu quando essa uscì sul numero di maggio de “La Nouvelle Revue Française”. La situazione tuttavia peggiorò a fine luglio col primo crollo psichico della figlia Lucia, e precipitò il 29 dicembre con la morte improvvisa del padre.

Il 2 febbraio 1932, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, sul settimanale berlinese “Die Weltbühne” esce James Joyce (Würdigung zum 50 Geburtstag), un articolo di tre pagine a firma Yvan Goll, e il giorno stesso gli telefona Claire per fargli gli auguri, ma anche le condoglianze, al che Joyce:

– L’amavo molto e non ho potuto rendergli l’ultimo omaggio. Mia moglie e i miei bambini si sono opposti.

– Davvero? dissi per cercar di saperne di più.

– Neanch’io mi sento sicuro in Irlanda. Durante il mio ultimo soggiorno, quella gente non ha bruciato l’intera edizione del mio Dedalus? Lei capisce che in queste condizioni mi era impossibile andarci.

L’evidenza s’imponeva solo a lui. Avevano bruciato il suo libro, mica la sua persona.

– Certo, dico. Da quanto tempo non vedeva Suo padre?

– Vent’anni. Lei misura la mia disperazione.

Un momento di tregua è a metà febbraio 1932, quando gli nasce il nipotino: Ecce puer, poesia composta sull’istante, mostra un Joyce in bilico tra lutto e festeggiamento.

Non risulta se i Goll nei mesi successivi si siano incontrati con i Joyce, ma un giorno d’autunno Yvan si presentò con il giornalista americano Robert H. Davies (1869–1942), che fotografò nonno e nipotino. Nell’occasione, Joyce affidò all’ospite una copia autografa di Ecce puer in vista di una traduzione in francese.

Oltreché come traduttore (di Cendrars in tedesco, di Remarque in francese), Goll si era affermato a Parigi negli anni Venti come drammaturgo, romanziere e soprattutto poeta, e nel 1931 aveva iniziato a comporre Chansons malaises, raccolta di argomento intimo che in lui segna il passaggio alla forma breve, con versi principalmente tetrasillabici: Ecce puer, quattro quartine in dimetri giambici, era dunque nelle sue corde.

Una volta tradotta, Goll la pubblicò all’inizio dell’anno dopo su “Le Phare de Neuilly”, mensile surrealista d’alto prestigio (René Daumal, D. H. Lawrence, Raymond Queneau, Jules Supervielle, Miguel Asturias, Salvador Dalí, René Magritte, Man Ray tra i contributori) e di vita breve: tre soli fascicoli. Nel secondo, appunto, la pagina 24 (preceduta dalla poesia Schöne Jugend di Gottfried Benn tradotta dallo stesso Goll) presenta la foto di Davies, e la 25 (seguita dal Journal d’un homme trompé di Pierre Drieu La Rochelle) una riproduzione anastatica con l’’autografo di Joyce e la traduzione di Goll.

Du sombre passé

Un enfant est né.

De joie, de peine

Mon cœur s’égrène.

Au calme berceau

La vie éclot.

Que l’amour pieux

Descelle ses yeux.

Haleine qui passe

Vite sur la glace.

Monde à peine là

Qui déjà s’en va.

Un enfant dort.

Un vieillard est mort.

O père trahi

Pardonne à ton fils.

Dall’oscuro passato

un bimbo è nato.

Di gioia e pena

il mio cuore si estenua.

Nella culla quieta

sboccia la vita.

Che pietoso l’amore

ne apra gli occhi.

Fiato, soffio che presto

passa sul vetro.

Mondo che, appena qua,

già se ne va.

Un bimbo dorme assorto,

un vecchio è morto.

O padre che ho tradito,

Perdona il figlio tuo.

Rispetto all’originale inglese, rigorosamente in dimetri giambici a rima alternata, la traduzione di Goll presenta tre pentasillabi alternati negli ultimi cinque versi e mantiene ferreamente la rima baciata, dimostrando gran perizia e rispetto, lui che da buon surrealista aborriva almeno allora la rima.

Io sono ricorso a un’alternanza di settenari e quinari, rispettando la rima baciata fuorché in chiusa alla seconda e quarta quartina.

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NOTE

Sul contesto, cfr. N. R. Fitch, La libraia di Joyce. Sylvia Beach e la generazione perduta (1983), trad. it. di T. D’Agostini e M. Fiorini, Il Saggiatore, Milano 2004, che arricchisce notevolmente la biografia canonica (uscita nel 1959 e riveduta nel 1982) R. Ellmann, James Joyce, trad. it. di V. Santangelo, Castelvecchi, Roma 2014. Più specificamente cfr. J. Joyce, Anna Livia Plurabelle. Nella traduzione di Samuel Beckett e altri, a cura di R. M. Bollettieri Bosinelli, Einaudi, Torino 995, e F. Milaneschi, Beckett traducteur de Joyce, “Revue italienne d’études françaises”, (9) 2019, https://journals.openedition.org/rief/3020.

I brani citati di Claire sono dal cap. XI di C. Goll, La poursuite du Vent, O. Orban, Paris 1976 (intervista del critico d’arte Otto Hahn, che quattro anni prima aveva intervistato Andy Warhol). Nota per la sua mendacia, la testimonianza di Claire qui è veritiera, a partire dal ruolo giocato da Goll nella traduzione tedesca dell’Ulysses conclusa da George Goyert nel 1927. Su Joyce-Omero poi, cfr. Y. Goll, The Homer of Our Time, “Die Literarische Welt” del 17 giugno1927. Le reazioni di Claire alla lettura pubblica di Joyce (probabilmente quella del 2 novembre 1927 di cui restano più testimonianze) possono essere testate sul disco registrato dall’autore nel 1929 https://www.youtube.com/watch?v=-nGZh39OP58.

Bob Davies, editorialista del “New York Sun”, al momento della visita in casa Joyce aveva appena raccolto 200 suoi ritratti fotografici di personaggi noti in Man Makes His Own Mask, Huntington Press, New York, 1932.

L’originale dell’autografo riprodotto da Goll non è stato finora recuperato, e rimane l’unico a documentare Ecce puer nella sua completezza, in quanto i tre autografi joyciani rimastici sono privi della terza quartina. Essi riportano tutti la stessa data del 15 febbraio 1932, come del resto la versione a stampa, uscita a fine anno pressoché in contemporanea su “New Republic” e su “Criterion” (e alla base delle edizioni canoniche dei Poems). Qui invece la data “17 February 1932” chiarisce che Ecce puer fu sì composta il giorno stesso della nascita del nipotino, ma rimaneggiata due giorni dopo da Joyce (che verosimilmente sui due periodici mantenne il giorno 15 per valenza simbolica).

Alla James Joyce Collection dell’Università di Buffalo, che nel 1959 acquistò gli inediti ancora in possesso della Beach, è conservato un manoscritto di Ecce puer “di mano non identificata, siglato da Sylvia Beach ‘J J’s translation of Ecce puer’, presumibilmente stilata nel 1932; il testo è assai diverso dalla versione pubblicata”. Letteralmente suona: “ECCO IL BIMBO // Dal passato oscuro / Il bimbo è nato, / Di gioia e dolore / Il mio cuore straziato. // Una culla è il posto / Dove del dio vivente / All’amore, al benevolenza / siano aperti gli occhietti! // La vita è soffiato / – Ancor giovane – sul vetro / pur non essendo stato / un mondo già trapassa. // Un bimbo che dorme, / Un vecchio che esala. / Padre mio rinnegato / Da tuo figlio – perdona!”. Inverosimile che l’autore abbia tradotto il latino del titolo, come che abbia sbagliato il genere di “soffiato”. La grafia poi non assomiglia nemmeno a quelle di Goll e di Adrienne Monnier, la compagna di Sylvia e una dei sette traduttori di Anna Livia Plurabelle. Indecidibile infine la data di stesura.

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