A CALL WITH BENJAMIN MERTZ by Lilith Moscon
A call with Benjamin Mertz
There was no television in your house, when you were a kid.
There was a piano in one room.
There was Nancy - your mother - playing it.
Nancy the opera singer.
Nancy the jazz singer.
The room with the piano was your favorite one.
You spent time there together with Music.
Music was also a game, pure entertainment any time your friends came to visit you.
That’s the way it has always been: a space that brings people together and makes them alive.
You studied piano too.
You explored jazz music, blues, rhythm and blues.
Then you met Ysaÿe Barnwell and everything changed.
«What changed?» I ask you, one day, on the phone.
«Everything» you reply.
You tell me about Dr Bernwell, the singer was a member of the Sweet Honey in the Rock for many years.
I never understood much about music.
So you have to explain to me who the Sweet Honey in the Rock are.
It’s an all Afro-american women ensemble group founded in the Seventies.
Their songs are about freedom, civil rights, immigration, racism, domestic violence.
They are a three time Grammy Award- nominated troupe.
Let’s go back to Ysaÿe Barnwell.
You met her when you were twenty-four. You joined one of her seven days workshops and you still think of it as “the most tremendous week of my whole life”.
She brought you closer to the Black Spiritual tradition and to those songs that have been handed down over the centuries.
«I want to be part of this river. I want to offer my music like they did, generation after generation» you tell me.
Music is for your memory. I think about The Storyteller by Mario Vargas Llosa.
The storyteller - In Vargas Llosa’s book - brings together all the members of Machiguenga’s indigenous population. He makes them remember where they come from and their history.
I also think about a passage from the book The interpretation of Fairy Tales by Marie-Louise von Franz. It’s about Australian aboriginal natives and their custom to speak to the crops - when they are not quite growing - the myth of their origins.
It seems that every individual or collective entity - every animal or plant entity - needs to know its own story in order to grow. I’m wondering if death is a lack of stories - a ‘reset button’ on all the stories. The answer may lie for me in shining about Nancy, your mother.
Nancy the opera singer.
Nancy the jazz singer that lend her voice to the elderly without memory.
Your mother visits nursing homes. She meets people with Alzheimer’s and sings them lullabies from the Thirties and from the Forties. It helps them to remember their past.
You talk about her, with me, on the phone.
Your songs also contribute to create memory.
I have the piece of music “Song for the Ancestors” on my mind. It’s part of your last album Climbing up the Mountain:
“… Generation after generation/Century after century/Your hands built homes that you could not live in/And roads you could not travel on/And food you could not eat/You sang songs to your children./ Your name are not known/Your history is not remembered/Your hopes and your dreams/Your trials and your fears…”
You pay homage to your ancestors and to your teachers: James Baldwin, Malcolm X, Martin Luther King, Angela Davis, Fannie Lou Hamer, Rosa Parks.
You tell me about them too, on the phone.
Your music is, no doubt, memory. It’s a message to pass on like in the Black Spiritual tradition.
You know very well now that tradition and you carry it around.
Before I say goodbye, I ask you:
«What stands out for you the most about the first spiritual singers?»
«Their way to sing… anyway» you reply.
I write down the words “sing anyway”.
They sound good.
We say goodbye.
Benjamin Mertz https://www.benjaminmertz.com/
(Versione Italiana)
Al telefono con Benjamin Mertz
Nella tua casa di bambino non c’era la televisione.
C’era un pianoforte, in una stanza.
C’era Nancy, tua madre, che lo suonava.
Nancy la cantante lirica.
Nancy la cantante jazz.
La stanza del pianoforte era quella più vissuta.
Vi tenevate compagnia con la musica.
La musica era anche un gioco e un divertimento quando venivano i tuoi amici a trovarti.
Così è rimasta per te, oggi: un luogo che unisce e anima.
Hai studiato pianoforte, pure tu.
Sei passato dal jazz, al blues, al rhythm and blues.
Poi hai incontrato Ysaÿe Barnwell e tutto è cambiato.
«Tutto cosa?» ti chiedo, un giorno, al telefono.
«Tutto» mi rispondi.
Mi parli di Dr. Barnwell, della cantante e compositrice membro dell’ensemble Sweet Honey in the Rock.
Io di musica non ci capisco proprio niente.
Così ti tocca spiegarmi chi sono i Sweet Honey in the Rock.
È un gruppo nato negli anni Settanta e composto di sole donne afroamericane.
Le loro canzoni, che hanno come temi la libertà, i diritti civili, l’immigrazione, il razzismo, la violenza domestica, sono state più volte nominate ai Grammy Awards.
Torniamo a Ysaÿe Barnwell.
Mi racconti di averla conosciuta a ventiquattro anni. Ti eri iscritto a un suo corso di una settimana che definisci the most tremendous week of my whole life, “la settimana più incredibile di tutta la mia vita”.
È lei ad averti avvicinato alla tradizione Black Spiritual, al patrimonio di canzoni che nei secoli sono state tramandate ai figli e ai figli dei figli.
«Voglio fare parte di quella narrazione. Voglio offrire la mia musica come l’hanno offerta loro, per generazioni» mi dici.
Capisco che la musica è per te memoria.
Penso a Il narratore ambulante di Mario Vargas Llosa.
Nel libro di Vargas Llosa, il narratore, el hablador, connette tra di loro membri sparsi del popolo Machiguenga. Gli ricorda da dove vengono, la loro storia recente e passata.
Penso anche a un brano dell’opera Le fiabe interpretate di Marie-Louise von Franz, in cui l’autrice racconta che gli aborigeni australiani si chinavano sui campi, quando il riso non cresceva, per raccontargli il mito della sua origine.
Ogni entità, individuale o collettiva, umana o vegetale, ha bisogno di conoscere la propria storia per crescere e dispiegarsi. Mi chiedo se la morte non sia un’assenza di storie, l’azzerarsi di tutte le storie. La risposta potrebbe fornirmela Nancy, tua madre.
Nancy la cantante lirica.
Nancy la cantante jazz che presta la propria voce agli anziani che hanno perso la memoria.
Tua madre visita per lavoro case di riposo. Incontra malati di Alzheimer e canta per loro ninna nanne degli anni Trenta e Quaranta. Sembra che questo li aiuti a ricordare.
Mi parli di lei, al telefono.
Anche le tue canzoni contribuiscono a creare memoria.
Mi viene in mente il pezzo “Song for the Ancestors” del tuo ultimo album Climbing up the Mountain:
“… Generation after generation/Century after century/Your hands built homes that you could not live in/And roads you could not travel on/And food you could not eat/You sang songs to your children./ Your names are not known/Your history is not remembered/Your hopes and your dreams/Your trials and your fears…”
Generazione dopo generazione/Secolo dopo secolo/Le vostre mani hanno costruito case che non potevate abitare/E strade che non potevate percorrere/E cibo che non potevate mangiare/Cantavate canzoni ai vostri figli./I vostri nomi non sono conosciuti/La vostra storia non è ricordata/Le vostre speranze e i vostri sogni/I vostri tentativi e le vostre paure…”
Rendi omaggio ai tuoi antenati e ai tuoi maestri: James Baldwin, Malcolm X, Martin Luther King, Angela Davis, Fannie Lou Hamer, Rosa Parks.
Senza dubbio, la tua musica è memoria da tramandare, come per la tradizione Black Spiritual che adesso conosci molto bene e che porti in giro nei tuoi incontri e nei tuoi seminari.
Prima di salutarti, ti chiedo:
«Se dovessi dirmi cosa ti colpisce di più dei primi cantanti spiritual, cosa diresti?».
Tu mi rispondi their way to sing anyway, il loro modo di cantare comunque.
Non cerco di fare mia questa frase perché sarebbe un’operazione ridicola, errata, astorica.
Mi limito ad appuntare su un foglietto le due parole “cantare comunque”.
Suonano bene.
Ci salutiamo.
Benjamin Mertz https://www.benjaminmertz.com/
Lilith Moscon Nata a Firenze nel 1984, è laureata in filosofia, diplomata in psicodramma presso l’istituto Psychodramaforum di Berlino e in Linguaggio Sensoriale e Poetica del Gioco presso il Teatro de los Sentidos di Barcellona. Collabora con la rivista online Doppiozero e con la casa editrice Telos in qualità di formatrice. Ha pubblicato diversi libri per ragazzi, tra cui Vedo, non vedo, vedo più in là (Einaudi Ragazzi, 2013), Un regalo para Nino (A buen paso, 2016), Il piccolo regno nel bosco (ELI Edizioni, 2018), La más grande del mundo! (Combel Editorial, 2018), Monsieur Magritte (Libri Volanti, 2018), L’archeologo delle parole (Telos Edizioni, 2018), Anche Superman era un rifugiato (Il Battello a Vapore, 2018), Il ragazzo dal mare negli occhi (Telos Edizioni, 2019), La fattoria degli animali (Gallucci, 2020).
Lilith Moscon Born in Florence in 1984, she holds a degree in Philosophy, a diploma in Psychodrama from Berlin’s Psychodramaforum Institute, as well as a diploma in Sensory Language and Poetics of Playing from Barcelona’s Teatro de los Sentidos. She is a writer for Doppiozero online magazine, and works as a trainer for Telos publishing company. She is also Executive Coach of Berkeley’s ECI, and is currently training in Gestalt therapy. Her children’s books are Vedo, non vedo, vedo più in là (Einaudi Ragazzi publishing house, 2013), Un regalo para Nino (A buen paso publishing house, 2016), Il mago Tre-Pi (Telos Edizioni publishing house, 2017), Il piccolo regno nel bosco (ELI Edizioni, 2018), La más grande del mundo! (Combel Editorial publishing house, 2018), Lola busca su cola (Combel Editorial publishing house, 2018), Monsieur Magritte (Libri Volanti publishing house , 2018), L’archeologo delle parole (Telos Edizioni publishing house, 2018), Anche Superman era un rifugiato (Il Battello a Vapore publishing house, 2018), Il ragazzo dal mare negli occhi (Telos Edizioni publishing house, 2019)